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Suggestioni autunnali nella poesia di Detlev von Liliencron 
di Gabriella Rovagnati
Arthur Illies,
Arthur Illies, 'Ritratto di Detlev von Liliencron', 1913 
11 Ottobre 2011
 

*Molto restio a parlare di sé, sia come uomo che come poeta, sempre schivo di fronte alle interviste ed estremamente laconico ed ironico nelle sue, già non numerose, pubbliche dichiarazioni, Friedrich Axel von Liliencron – che poi cambiò il proprio nome di battesimo in Detlev, recuperandolo da quello di un suo antenato – ha contribuito con questo suo atteggiamento di estremo riserbo a dare di sé quell’immagine, o meglio quelle diverse, a volte contraddittorie, immagini falsate, stereotipe e superficiali con cui la critica letteraria lo ha spesso liquidato in maniera riduttiva e sbrigativa.

Molte le tessere del mosaico che compongono la ‘leggenda’ nata attorno a Liliencron artista, etichettato ora come lirico strapaesano e campanilista dello Schleswig-Holstein, ora come il poeta prussiano militarista e loyalista, portavoce degli ideali dell’età di Bismarck. Nello stesso modo, da un punto di vista formale, Liliencron viene giudicato ora come un Naturalista convinto, ora come un Impressionista idilliaco e visionario, mentre in realtà il suo stile, originale ed irregolare, non si lascia ricondurre mai completamente ad una precisa corrente fra quelle di moda nella Germania guglielmina.

Anche di Liliencron uomo esistono diverse immagini ufficiali. C’è chi vede in lui soltanto il militare, prima tenente di fanteria e poi capitano di cavalleria; chi lo considera solo un nobiluomo decaduto, intriso di altezzoso aristocratismo, soggetto libertino e godereccio, dedito all’equitazione, alla caccia, al gioco e alle belle donne. Di contro però c’è anche chi sottolinea la sostanziale miseria ed infelicità della vita irrequieta di quest’uomo, che soltanto vicino ai sessant’anni riuscì a trovare la tranquillità affettiva ed una pur modesta sicurezza economica, dopo due matrimoni falliti ed un’esistenza continuamente messa in forse dalle sempre disastrose condizioni economiche e contrassegnata da ansie e sregolatezza. […]

Nato a Kiel nel 1844, Liliencron è già per le sue origini un tedesco un po’ sui generis, in quanto rampollo di un funzionario di dogana dell’allora danese Schleswig-Holstein e della figlia di un generale americano educata in Inghilterra. Nessuno tuttavia si sentì più di lui autenticamente tedesco. Per tutta la vita Liliencron restò profondamente legato alla regione che gli aveva dato i natali, dove aveva trascorso un’infanzia solitaria ma sostanzialmente serena e dove tornò in seguito – prima a Pellworm e poi a Kellinghusen, due piccole isole delle Frisoni Settentrionali – come impiegato nella pubblica amministrazione. Nello Schleswig-Holstein Liliencron trovò una fonte inesauribile d’ispirazione, continuando ad evocarne atmosfere e paesaggi e a cantarne la schiettezza della gente e l’autenticità delle tradizioni nelle sue opere.

C’è tuttavia anche un’altra regione tedesca di cui Liliencron si considerò figlio, anche se solo per adozione: la Prussia, la Prussia in ascesa del secondo Ottocento, quella delle campagne contro l’Austria e la Francia, la Prussia, trionfante in tutti i campi, dei cosiddetti Gründerjahre. E anche ‘prussiano’ Liliencron restò per tutta la vita, prima come militare e poi come convinto sostenitore della politica del Cancelliere di ferro e della causa imperiale.

Difficile non è però soltanto la collocazione geografica di questo poeta. Scelte esistenziali oscillanti da un polo al suo estremo opposto, scelte tuttavia quasi sempre obbligate e quindi vissute o subite con l’atteggiamento del fatalista, caratterizzarono l’intera vita di Liliencron. Soldato per vocazione profonda e precoce, fu costretto dai debiti a lasciare la carriera militare; bohémien nato, venne obbligato dalle necessità quotidiane concrete ad accettare la routine dell’impiego statale; soggetto affettivamente instabile, fu destinato a trovare una tardiva serenità proprio in quei ruoli di marito e di padre borghese, che aveva tanto spesso denigrato e deriso.

Cresciuto all’ombra di una madre religiosissima, influenzato poi dalla lettura di Nietzsche e di Schopenhauer finì col diventare un ateo convinto. Barone totalmente privo di mezzi, visse come un’infamia questa sua condizione di nobile ridotto alla miseria, mantenne però di contro sempre un atteggiamento di superiore disprezzo nei confronti del denaro, di cui tuttavia non sapeva fare a meno. Aristocratico consapevole della propria dignità sociale, non di meno scelse di sposare, e per ben due volte, delle figlie del popolo: la sua seconda moglie era figlia di un’ostessa, la terza, la donna con la quale finalmente conobbe la felicità coniugale, era di origini contadine.*1 Liliencron morì nel 1909, all’età di sessantacinque anni per via di un brutto raffreddore degenerato in polmonite.

Alla poesia Liliencron arrivò tardi, verso i quarant’anni, e ancor più tardi al successo, al quale guardò sempre con ironica distanza. Oggi è un autore (ingiustamente) dimenticato. Eppure, oltre che autore di godibili bozzetti e racconti, Liliencron fu un poeta dotato di grande talento, abile nella tecnica metrica come nella capacità di tradurre impressioni istantanee in versi di spontanea musicalità.

Ne propongo qui un esempio “stagionale”, le tre quartine della poesia “Autunno” (dalla raccolta Adjutantenritte und andere Gedichte [Cavalcate da aiutante e altre poesie], 1883):

 

 

Autunno

 

Astri già in fiore in giardino,

Più fiacco del sole il dardo.

Fiori che attendono la morte

Dall’ascia bieca del gelo.

 

Più bruna e buia la landa,

Foglie tremanti per l’aria.

E bosco e pascolo immoti

In un azzurro profluvio.

 

Pesco sul muro del parco,

Gru in fuga già dall’inverno.

Gioie e dolori d’autunno,

Vizze rose, frutti maturi.2

 

 

Nella traduzione va perduta la rima alterna delle tre quartine di tono popolare, caratterizzate da un lessico di estrema semplicità. Ogni strofa è composta da due brevi periodi, dove a dominare è la paratassi, perché il poeta semplicemente associa le sue impressioni senza farsi condizionare dal bisogno di una logica successione dei suoi pensieri. Per questo si è cercato, rinunciando giocoforza all’effetto melodico degli esiti, di mantenere per quanto possibile la lunghezza dei versi originali (ottonari) e di restituire l’immediatezza delle immagini che si susseguono come lampi, per lo più collegati per asindeto, riuscendo in pochi tratti a evocare immagini note che diventano specchio dell’ambivalenza della vita e del suo avvicendarsi con la morte. Non è un caso che proprio l’autunno sia stata la stagione preferita dai poeti dello scorso fin de siècle, tutti più o meno malati di decadenza e ossessionati dalla coscienza della fine. Ma nel ciclo vitale, sembra suggerire Liliencron nel distico finale, non si arriva al nulla, ma all’equilibrio (qui sapientemente indicato con un chiasma) fra sconforto per l’imminente putredine e tripudio per una nuova pienezza.

 

 

1 Il brano segnalato con gli asterischi è tratto dall’Introduzione a: Detlev von Liliencron, Novelle di guerra, a cura di Gabriella Rovagnati, Milano: Tranchida 1991.

2 Herbst // Astern blühen schon im Garten, / Schwächer trifft der Sonnenpfeil. / Blumen, die den Tod erwarten / Durch des Frostes Henkerbeil. // Brauner dunkelt längst die Heide, / Blätter zittern durch die Luft. / Und es liegen Wald und Weide / Unbewegt in blauem Duft. // Pfirsich an der Gartenmauer, / Kranich auf der Winterflucht. // Herbstes Freuden, Herbstes Trauer, / Welke Rosen, reife Frucht.


 
 
 
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