Nel viaggio per mare, vita e morte si succedono e si ricompongono nella storia e nell’animo di Nievo tanto che il processo dell’unificazione trascorre in simbiosi con gli eventi storici e lo scandaglio dell’animo umano. Che sia un poeta a scrivere di storia amplia e condensa le vicende garibaldine in un processo decisamente più intenso e più comprensibile delle distonie che accompagnano il periodo e che si leggono nell’animo di Ippolito Nievo. Ed è proprio la morte per mare (storicamente avvenuta) che simbolicamente andrà assunta come auroralità, rinascita, risorgimento e armonizzazione delle conflittualità nell’animo inquieto del protagonista.
Che sia un poeta a parlar di storia è per noi dono di ampia lettura, di forte immaginazione e di pluralità di interpretazione. Tornano i cieli di Ruffilli, aperture ad un altrove possibile in Diario di Normandia, ne La gioia e il lutto, ne Le stanze del cielo, quelli di Un’altra vita tessuti ricamati sulla Palermo così come la descrisse Dumas: «Palermo è un termine: è la primavera dopo l’inverno. È il riposo dopo la fatica. È il giorno dopo la notte, l’ombra dopo il sole» ed è anche Palmira, l’amore che armonizza i contrasti di una vita, che è tutto tranne colpa o vizio, totalità anche nella caducità: «dobbiamo salutarci Ippolito come se ci vedessimo domani e tutti i giorni prossimi a venire… non è la meta che importa. Credimi, il percorso conta di più».
«… E le onde della vita cadevano sul petto e facevano presto a ricoprire la testa togliendo subito il respiro».
Che sia un poeta a parlar di storia gli consentirà di scrivere «tutto è rigorosamente autentico, tutto è rigorosamente immaginato». Il filo conduttore dell’immaginazione, intrigante protagonista di Paolo Ruffilli secondo cui le cose esistono solo come immaginate dal soggetto, mi invita a questa intervista all’autore; “immaginata” da me per voi.
Paolo Ruffilli, “L’ISOLA E IL SOGNO”
Macerata, 30 settembre 2011
Intervista di Patrizia Garofalo
– L’isola e il sogno legge la fine della spedizione dei Mille e quello che sarà l’ultimo viaggio di Nievo. Condensa memorie e contrasti dell’animo di Ippolito e della storia risorgimentale.
Paolo, in questo tuo scritto sembra che sia più l’uomo a vivere nella storia che la storia nel garibaldino Nievo. È peregrina questa mia posizione?
Non è peregrina, la condivido. Del resto, Nievo è un uomo “speciale” e proprio per queste sue qualità non può che riempire di sé la storia. Nel senso che per lui quel che va accadendo è parte essenziale ed inevitabile della sua vita. Lo riguarda, non solo eticamente, ma direi addirittura naturalmente, in prima persona.
– I tuoi studi precedenti e gli scritti su Ippolito Nievo evidenziano il tuo interesse verso questo romanziere che la maggior parte di noi ha purtroppo letto a scuola con indifferenza, direi anche con noia. Nello studio di Nievo così accorto e scandagliante, nella cura che hai avuto nel parlarne in altri tuoi scritti cosa ti ha attratto?
Nievo è un precoce geniale. Uno che, come Leopardi, sente le cose con decenni di anticipo sugli altri. E potrei citare innumerevoli cose coinvolgenti per me, dalla sensibilità poetica all’esercizio dell’intelligenza all’esperienza sentimentale… ma mi limito al discorso che abbiamo appena avviato. Proprio a proposito della Storia, ha fatto enormi passi in avanti. Mi spiego. Prendiamo Manzoni che dedica “Marzo 1821” a un libertario ungherese vittima di Napoleone. Manzoni considera Napoleone un delinquente e ha sicuramente ragione, uno che ha commesso –come diciamo oggi– crimini contro l’umanità. Ma dal punto di vista storico, le cose si guardano in altro modo. Appunto Nievo, che si è liberato del vincolo moralistico e che, pur non apprezzando affatto Napoleone, deve ammettere che da Napoleone, in mezzo ai crimini, è scaturito anche del buono. Insomma, l’idea della Storia che Nievo ha è moderna e, non a caso, la Storia appunto da scenario nella prima parte delle Confessioni d’un italiano diventa protagonista della seconda parte del romanzo. Cosa che non sfuggì a Tolstoj mentre pensava al suo Guerra e pace.
– Il libro anzi più precisamente la notizia della tua pubblicazione che veniva a coincidere con la celebrazione dei 150 anni dell’Unita d'Italia, mi ha spaesato. Ero fortemente dubbiosa sul come inquadrare la tua scelta di editarlo proprio in un momento in cui la tua grande libertà artistica rischiava di essere incasellata in uno spazio definito. Tu hai avuto questo dubbio?
Erano anni che lavoravo al romanzo, dopo aver pubblicato nel 1991 la biografia dedicata a Nievo. Sarei magari andato avanti ancora, quando l’editore in previsione della scadenza dei 150 anni dell’unità d’Italia mi ha stimolato a pubblicare il libro. E, dopo una riconsiderazione durata una decina di mesi, ho deciso per la pubblicazione essendo soddisfatto del risultato a cui ero arrivato.
– Tu scrivi: «Tutto è rigorosamente autentico (e citi le fonti e le opere), tutto è rigorosamente immaginato». E mi torna in mente l’immaginazione di cui tanto abbiamo parlato come elemento non arbitrario della mente che reale diventa se soggettivamente creato e agito. L’immaginazione, dico sempre che è una tua spiazzante creatura…
Sì, è così. L’immaginazione non è affatto una qualità arbitraria, anzi conosce una coerenza interna straordinaria, perché agisce fondandosi su dati certi e reali che restano comunque nel fondo. E, di lì, è capace di rivelare una verità che altrimenti sfugge. Perché, so bene da linguista, che la verità non è nelle cose ma nel linguaggio, come diceva Wittgenstein.
– Entrando più specificatamente nel testo, ritengo tu abbia offerto ai tuoi lettori una mirabile capacità d’indagine dell’animo di Nievo e delle sue contraddizioni. Bice e la madre, amate entrambe ma vissute senza fisicità, spesso si sovrappongono come immagini, spesso generano stati di disagio e dicotomie; Palmira ricomporrà invece la cercata dimensione dell’amore nella sua pienezza e nella sua caducità. Il naufragio ricompone un’identità, se seguiamo questa linea di lettura?
Il naufragio, paradossalmente, è nell’aria. Non per niente abbiamo citato la sensibilità di Nievo, la sua capacità di antivedere… E lui sente che, per comporre l’insanabile contraddizione della sua vita, sta per accadere qualcosa di estremo ed assoluto. Intuisce e, naturalmente, rifugge dalla sua intuizione. Si muove in una situazione di contrari che è molto produttiva creativamente, ma distruttiva esistenzialmente.
– La vita sentimentale di Ippolito Nievo, le sue battaglie politiche e militari stanno alle contraddizioni risorgimentali come Palmira e Palermo stanno al naufragio e al dopo l’Unità?
Sì, non c’è dubbio. Anche perché Nievo aveva già visto come stavano andando le cose. L’idealità e la vita di molti erano state sfruttate per gli interessi di pochi… L’Italia stava finendo nelle mani dei faccendieri privi di scrupoli, quelli che già senza scrupoli operavano nel Piemonte sabaudo.
– Leggo da Diario di Normandia «è vero che non amo / gli squarci di natura/ se non da fuori/ del palcoscenico/ da un giusto osservatorio/ almeno per il poco che si possa presidiato». Questo testo è denso di dettagli paesaggistici che nulla hanno a che fare con scenette arcadiche o forme liriche obsolete… Io ti penso come poeta dai mille cieli, sono essi un altrove alla ricerca della parola che consoli e faccia proseguire?
Il paesaggio, così come la Storia, non sono mai –come crediamo– noi, lo scenario in cui ci muoviamo ma sostanza stessa di vita. Dunque, ciò che accade anche di più individuale non può che accadere dentro un corpo più generale e dentro un fenomeno collettivo.