Al riaprirsi delle aule scolastiche tornano a farsi attuali i dubbi, le perplessità, le delusioni e le aspettative rispetto a un sistema pedagogico che di continuo si tenta di riformare, cercando di agganciarlo a una realtà socioeconomica in rapida evoluzione e non più conforme a sistemi e programmi didattici giudicati obsoleti. Purtroppo gli sforzi compiuti in questo senso - non soltanto a livello legislativo - negli ultimi quattro decenni sembrano aver portato, insieme all’aumento della scolarizzazione, anche a un abbassamento del livello generale di preparazione professionale, che in molti non esitano a definire analfabetismo di ritorno.
Ma la sensazione di frequentare una scuola non conforme ai tempi, incapace di soddisfare le esigenze delle giovani generazioni e di aiutarle a trovare se stesse e il proprio ruolo dentro (o fuori) dallo schema di modelli che la società loro propone, non solo non è una prerogativa del nostro paese, ma non riguarda neppure soltanto la contemporaneità.
Per rimanere nello spazio della Mitteleuropea, basti pensare alle esperienze degli adolescenti descritti da Robert Musil ne I turbamenti dell’allievo Törleß, da Hermann Hesse in Sotto la ruota o ancora da Rober Walser in Jakob von Gunten. Si tratta di opere in prosa del primo Novecento, scritte cioè in un’epoca in cui frequentare il liceo, magari in un collegio religioso o militare di antica tradizione, era ancora solo privilegio delle classi più abbienti. Allora la scuola, più che come palestra di vita, veniva concepita come “caserma per l’istruzione”, per usare la formula adottata da Stefan Zweig nel suo volume di ricordi Il mondo di ieri. Ma anche dopo la fine della Grande Guerra, dopo il crollo degli imperi guglielmino e asburgico, la critica a un’istituzione scolastica sentita come superata e bisognosa di rinnovamento continuò a essere attuale e a trovare riflessi nella produzione letteraria dell’era della Repubblica di Weimar e della prima Repubblica d’Austria. Ne è un esempio il romanzo del viennese Friedrich Torberg Der Schüler Gerber [L’allievo Gerber, 1930], incentrato sulla vicenda di uno studente alle soglie della maturità. Kurt Gerber è uno fra gli allievi i più sensibili e vivaci di una classe di trentadue studenti (allora le classi erano ancora così numerose!!) di un liceo di un’innominata città austriaca. Il ragazzo è esposto senza possibilità di difesa, come tutti i suoi compagni, all’autoritarismo di un corpo insegnante gretto e frustrato, che – in questo sostenuto da una subdola schiera di genitori – concepisce il proprio ruolo solo come addestramento a un’ubbidienza passiva e del tutto acritica. Kurt Gerber, in particolare, è vittima delle angherie del professore di matematica (materia in generale tenutissima) Kupfer – definito dai ragazzi “Dio Kupfer” per i suoi deliri di onnipotenza –, un individuo dai tratti sadici capace di infondere nell’allievo soltanto terrore. Per Gerber diventa così costante motivo d’angoscia la risoluzione delle equazioni con l’incognita “x”, simbolo di quello spazio ignoto che attende il ragazzo dopo la maturità. Tenuto in perenne stato di soggezione, Gerber affronta l’esame finale sentendosi fallito in partenza; convinto di aver sbagliato la prova conclusiva, ancor prima di sapere che è stato dichiarato “maturo”, il ragazzo pone fine alla propria disperazione gettandosi dalla finestra. La tragedia, tuttavia, non ha come motivazione soltanto l’insuccesso scolastico. Il senso di inadeguatezza che tormenta Gerber nasce anche da una delusione sentimentale, che lo induce a vedere nel suo amore per la ex compagna di scuola Lisa ormai soltanto un “romanzo kitsch”.
Nonostante lo stile a tratti prolisso del romanzo, la gioventù fra le due guerre si riconobbe nell’emotività radicale di Gerber e contribuì a fare del libro un bestseller. Esagerato sia sul piano estetico sia su quello contenutistico, il romanzo, benché ormai dimenticato, può ancor oggi essere un monito sia per i giovani, perché prendano sì la scuola seriamente, senza tuttavia identificarla con la vita, sia per gli insegnanti, perché non dimentichino che il successo del loro lavoro non sta nell’ottenere dagli allievi supina subordinazione, ma nell’abituarli alla critica nel rispetto della molteplicità. Senza dimenticare, ovviamente, che è legittimo criticare solo là dove la premessa è la conoscenza di quanto di sottopone ad analisi.