Non c'è bisogno di ricca documentazione per spiegare che la casta non ne vuol sapere di contenere le spese ad essa afferenti. L'intera manovra sta lì ad attestarlo, soprattutto attraverso il rinvio a leggi costituzionali per ridurre i costi della politica. C'è un caso semplice, chiaro, palese. I tre senatori radicali Emma Bonino, Marco Perduca e Donatella Poretti hanno presentato un emendamento, prontamente affossato dai voti contrari di maggioranza e opposizioni: «La legge elettorale 3 giugno 1999, n. 157, è abrogata. Gli effetti dell'abrogazione si producono a partire dalle prossime consultazioni elettorali politiche, europee e regionali, nonché dalla prossima consultazione referendaria».
Dunque, pieno rispetto per il referendum popolare che soppresse il finanziamento pubblico ai partiti, prontamente recuperato dalla classe politica attraverso il pudico cambiamento di denominazione (contributi elettorali). Conferma per le somme già erogate per una o più rate, siccome di competenza dei partiti, dei movimenti e dei comitati referendari cui spettano sulla base della legislazione vigente.
Soppressione dei finanziamenti man mano si rinnoveranno le singole elezioni che oggi danno luogo a erogazioni. Tutto lineare, tutto rispondente alle richieste della gente. Proprio perché tutto coerente e tutto popolare, i parlamentari sono scesi a difesa dei rispettivi partiti, per serbare intatta la situazione odierna. L'idea che i partiti se li paghino i rispettivi iscritti o simpatizzanti, non viene nemmeno in mente.
Dopo la sforbiciata del 10% attuata dal decreto sviluppo sui contributi elettorali, si è ritenuto di aver agito fin troppo in profondità. Grazie, abbiamo già dato: tale il senso della risposta del Parlamento alla richiesta dei radicali, che poi è una domanda proveniente dai cittadini. Alla casta, però, dà fastidio perfino sentirsi affibbiare tale denominazione; figuriamoci se tollera di far mancare i fondi alle proprie formazioni politiche.
Cesare Maffi
(da Italia Oggi, 7 settembre 2011)