Per bocca del cantautore potranno parlare centinaia di migliaia di comunisti cubani che si considerano veri riformisti.
Oggi (sabato 27 agosto, ndt) si esibirà a Miami il cantautore Pablo Milanés. Si tratta di un evento intriso di contenuto politico che vale la pena analizzare.
Pablo Milanés ha detto tre cose molto importanti durante un’eccellente intervista concessa a Gloria Ordaz di Univisión. Ha detto che non desidera più cantare per Fidel Castro, che non ha niente in contrario a dedicare una canzone alle Dame in Bianco, e che è un rivoluzionario critico, impegnato con il sistema socialista.
Bene. Questo significa, prima di tutto, che il famoso cantautore ha rotto definitivamente con quella penosa subordinazione morale e intellettuale verso il caudillo che caratterizza le irrazionali dittature personaliste; secondo, che accetta il pluralismo e le differenze all’interno di una società nella quale molte persone mantengono posizioni diverse, senza che questo le trasformi in nemici esecrabili o in agenti della CIA; e, terzo, che non ha smesso di essere comunista, ma non è disposto a tacere di fronte agli errori e ai soprusi del suo governo. Si considera un militante, ma non è cieco e muto di fronte alle cose che non vanno. Il rivoluzionario è un ribelle, non un personaggio quieto e sottomesso.
La mia impressione è che per bocca di Pablo stanno parlando centinaia di migliaia di comunisti cubani che si considerano veri riformisti. Per loro, non bastano le quattro toppe che Raúl vuol mettere al sistema produttivo per conservare la dittatura del partito unico, manovrata da un gruppo di persone scelte dal generale all’interno della ristretta cerchia dei suoi fedelissimi. Questo, secondo quanto si deduce dalle parole di Pablo, non è un governo moderno e legittimo, ma una banda al servizio di un capo onnipotente, incapace persino di rispettare i principi del “centralismo democratico” che dovrebbero regolare le relazioni tra camerati. Per questo motivo Pablo chiede cambiamenti reali.
I democratici dell’opposizione devono fare uno sforzo per comprendere il fenomeno. Pablo Milanés, e con lui centinaia di migliaia di persone che si considerano “rivoluzionarie”, non sono nemiche. Sono avversari politici che hanno certe idee, a mio giudizio assurde, ma restano persone con le quali si potrà e si dovrà convivere in una Cuba liberata dal dogmatismo stalinista dei Castro. Come accade in ogni democrazia sviluppata del pianeta, gruppi ideologicamente diversi convivono nei parlamenti e riescono a trovare momenti di collaborazione.
Forse i giovani cubani non lo sanno, ma nel periodo 1940 - 1944, in piena democrazia, il generale Fulgencio Batista, sostenuto dai comunisti, venne liberamente eletto alla presidenza della repubblica dalla maggioranza dei cubani. In un’epoca segnata da una crescita impetuosa, i comunisti-batistiani difendevano il pluralismo, al punto che entrarono a far parte del governo due ministri di questo partito politico. Quando Batista lasciò la presidenza e si recò in Cile, Pablo Neruda lo salutò con un testo molto ossequioso e pieno di aggettivi entusiasti.
Dopo oltre mezzo secolo di disgrazie, fucilazioni, esili di massa, impoverimento progressivo, avventure militari, violazioni dei diritti umani ed esercizio arbitrario del potere da parte di un caudillo illuminato, impegnato a reinventare tutto quel che esiste, dagli esseri umani alle mucche, passando per il caffè o l’apicoltura, è giunta l’ora che la società, tutta la società, assuma la direzione del suo destino in forma pacifica, razionale, pluralista e collegiale. Questo processo comincia con una sobria stretta di mano tra i comunisti riformisti e democratici dell’opposizione. Sono, e dovranno essere, avversari rispettabili, non nemici
Benvenuto, Pablo Milanés.
Carlos Alberto Montaner
(da Diario de Cuba, 26 agosto 2011)
Traduzione di Gordiano Lupi