“Andrea, senti qua, c'è questa storia di molestie sessuali nella caserma ad Ascoli Piceno, sì, quella dell'istruttore sospettato dell'omicidio della moglie. È una stupidaggine, eh, il magistrato militare le ha riconosciute, ma la procura ordinaria ha già archiviato. Però un cadavere e il sesso sono ingredienti saporiti, ne viene fuori di sicuro una storiella piccante, e cosa c'è di meglio per solleticare i nostri lettori che boccheggiano per l'afa e la manovra economica?”
Il (sedicente) giornalista si unisce ligio alla risatina del caporedattore e va. Le linee guida gli sono chiare, non importa cosa verrà a sapere, che testimonianze potrà ottenere, come le metterà insieme. Le cinque W del giornalismo (who, what, where, when, why - chi, che cosa, dove, quando, perché) non le ha mai sentite nominare, le parole “deontologia professionale” le pensa probabilmente riferite ad uno studio odontoiatrico, e sia lui sia chi gli affidato l'incarico sanno benissimo cosa sono le donne. Perciò il pezzo comincia così: “Sotto la torretta della caserma C. il piantone intima l'alt. Non serviva: ha gli occhi azzurri, il fisico slanciato e si chiama Giulia”.
Un incipit da Premio Pulitzer. Tanto più che già alla riga successiva “Giulia sorride dolcemente”. Immaginatevi se il piantone si fosse chiamato Ignazio: “Ha gli occhi azzurri, il fisico palestrato e sorride dolcemente”. Eh no. Un pezzo così sarebbe finito nel cestino fra le urla del caporedattore e gli sfottò dei colleghi, ma visto che il piantone di cui si parla è una femmina è logico far sapere subito ai lettori se e quanto è appetibile sessualmente (e nient'altro, perché lei non è nient'altro che un riflesso negli occhi maschili che la osservano): non c'è male, vero, per un articolo che deve trattare di molestie sessuali.
L'eroe autore del pezzo le riporta pari pari come gli vengono descritte: apprezzamenti volgari, toccamenti, inviti ad avere rapporti sessuali seguiti da minacce (“se parli avrai dei guai”) da parte di istruttori e marescialli alle loro subordinate. Ma non capisce bene cosa sono, queste dannate molestie, né perché la caserma sia al centro non di una, ma di tre inchieste fra magistratura ordinaria e magistratura militare. Allora, smarrito, si interroga: “Nella sostanza, si indaga sui rapporti fra caporali e reclute, fra uomo e donna, fra chi comanda e chi deve obbedire. E siccome alla caserma C. chi comanda è uomo e chi obbedisce è donna, tutto si complica. Anche per chi ha il dovere di controllare e di giudicare. Qual è il confine del lecito? Cosa può arrivare a dire, a chiedere, un caporale a una soldatessa?”
È spaventoso che il signor (sedicente) giornalista non conosca i “confini del lecito”, perché sono sempre gli stessi sia che si indossi una divisa, sia che si indossi una tuta da manovale, sia che si indossi abiti acquistati al mercato rionale o nella più famosa delle boutique. I confini del lecito sono tracciati dal rispetto che ognuno di noi è tenuto ad avere e a ricevere nelle relazioni con gli altri esseri umani. Perciò, se una donna soldato semplice piace ad un uomo caporale, quest'ultimo può senz'altro dirglielo e persino proporle di andare insieme in un albergo, ma non può e non deve dirle: “Se non ci vieni te ne faccio passare di tutti i colori”, non può metterle le mani nelle mutande con la scusa dell'addestramento, non può chiedere di esaminare i suoi “bei balconcini” né di vederla in biancheria intima. È così difficile da capire?
Inoltre, se alla proposta la signorina risponde “No, grazie” o come testimonia una delle militari coinvolte: “Marescia', lei potrebbe essere mio padre...”, il proponente è tenuto ad intascare la risposta e pensare ad altro. Tutto il resto, le minacce, le intimidazioni, l'abuso del proprio grado e del conseguente potere passano i confini del lecito e sono reati.
Ma a questo punto, non sapendosi dare risposte, il reporter a libro paga del grande quotidiano “indipendente” lascia la caserma delle festicciole spinte in ufficio e dei “Ti porto al poligono dove non ci vede nessuno” e ci offre il suo ultimo languido sguardo: “La torretta è vuota, i militari scuotono la testa e il soldato Giulia, tenuta al silenzio, sospira”.
Maria G. Di Rienzo
(da Telegrammi della nonviolenza in cammino, 23 agosto 2011)