I vicini curiosi si affacciano ai balconi e le vedono sfilare lungo la rumorosa avenida Neptuno. Sono vestite completamente di bianco e nelle strade limitrofe si sta già preparando la turba che cercherà di impedirne il passaggio a forza di grida e spintoni. Sono quasi le quattro di sera e piove sull’Avana, con la tipica forza dei nostri acquazzoni estivi. L’acqua che scroscia fa appiccicare i vestiti al corpo delle Dame in Bianco mentre la truppa d’assalto le investe gridando insulti e alzando i pugni. I curiosi si chiudono in casa limitandosi a guardare dalle persiane socchiuse. Per oltre un’ora l’esibizione di intolleranza è al culmine e molte persone evitano di passare da quelle parti per non correre il rischio di essere aggrediti. A migliaia di chilometri da quel luogo, in un’altrettanto calda Madrid di questi giorni di agosto, il Papa Benedetto XVI sta pronunciando un messaggio di concordia e di pace.
Le autorità cubane credevano di aver sgominato quel movimento femminile che aveva reclamato per sette anni la scarcerazione dei prigionieri della Primavera Nera del 2003. I cervelloni della Sicurezza di Stato pensavano che mandando in esilio la maggior parte dei dissidenti liberati nel corso dell’ultimo anno, le Dame in Bianco avrebbero cessato di esistere. Ritenevano che facendo emigrare buona parte di queste donne, avrebbero prodotto l’effetto di cancellare la loro scomoda presenza dalle strade avanere. Per sradicare del tutto questa forma di protesta pacifica, hanno studiato anche una campagna di discredito orchestrata dai mezzi di comunicazione ufficiali e hanno minacciato di incarcerare queste donne. Il risultato non pare proprio quello desiderato dalla nostra Stasi tropicale. Questa settimana circa cinquanta Dame in Bianco hanno sfilato per la città e altrettante hanno tentato di fare la stessa cosa nella provincia di Santiago de Cuba. In entrambi i casi la risposta ufficiale è stata a base di violenza, percosse e mortificanti atti di ripudio. Il governo raulista ha mostrato così il lato peggiore del suo volto, per far passare un messaggio chiaro sia all’interno che all’esterno dell’Isola: all’opposizione non sarà permesso di conquistare la strada. L’attuale presidente non si cura tanto dello scandalo internazionale, né del rimprovero da parte degli organismi dei diritti umani, ma pare temere soprattutto che i gladioli e le camice bianche crescano di numero e che riscuotano una maggiore simpatia popolare.
In questo momento la Chiesa Cattolica cubana - e specialmente il Cardinale Jaime Ortega y Alamino - ricopre la posizione più scomoda. Un anno fa è stato proprio lui il simbolico mediatore nel processo di scarcerazione dei prigionieri politici. Anche se la sua gestione non è stata indenne da critiche, il risultato finale si è concretizzato nella liberazione dei detenuti incarcerati nel marzo del 2003 e di altri prigionieri. Il Cardinale ha prestato i suoi buoni uffici anche perché le sfilate domenicali delle Dame in Bianco non venissero interrotte con la violenza dalle tristemente celebri Brigate di Risposta Rapida. Per alcuni mesi sembrava che il governo si fosse rassegnato al fatto che queste donne gli avessero tolto un pezzo di città. Ma in realtà lavorava dietro le quinte per sgominare il movimento mandando in esilio la maggior parte delle Dame in Bianco. La polemica sul fatto se la Chiesa cubana fosse o meno d’accordo su quei viaggi che sembravano deportazioni forzate, è ancora rovente tra detrattori e sostenitori di questa millenaria istituzione. Quel che è certo è che in qualche misura il manto cardinalizio ha protetto e tutelato le Dame in Bianco, fino a quando Raúl Castro non si è reso conto che il movimento invece di indebolirsi si rafforzava.
Quando giovedì scorso, le truppe d’assalto sono tornate a colpire e a insultare con male parole queste donne, il primo nome che hanno invocato è stato quello di Jaime Ortega y Alamino. Proprio in quel momento il cardinale si trovava a Madrid, al seguito del Papa in visita a quella città. Una richiesta proveniente dall’Avana è arrivata proprio nel bel mezzo delle celebrazioni. Le Dame in Bianco chiedevano al Cardinale di intercedere per loro davanti a Benedetto XVI e supplicavano che il Papa, a sua volta, convincesse il governo cubano a far cessare la violenza. Mancano due mesi appena al suo pensionamento dal Vaticano, ma Ortega y Alamino si trova in una situazione molto difficile da risolvere. Sa che le autorità dell’Isola non allenteranno la repressione, per il timore che lo scontento sociale possa emergere in maniera irreversibile. Sa anche che i piccoli spazi che ha guadagnato la Chiesa a Cuba negli ultimi anni, potranno andare perduti se lui mostrerà un atteggiamento troppo critico nei confronti della gestione di Raúl Castro. Come Pastore di un gregge in difficoltà è tenuto a difenderlo, ma deve anche proteggere l’istituzione che rappresenta. È una situazione complessa, un conflitto difficilmente risolubile, che ha cominciato a gettare ombre sulla sua gestione. Tutto il precedente lavoro di mediazione, può essere seriamente compromesso se un anno dopo quelle trattative la repressione continua e la penalizzazione delle differenze è ancora intatta. Un gruppo di donne vestite di bianco, percosse e denigrate, ha chiesto aiuto al Cardinale di tutti i cubani. La grande domanda è se lui potrà realmente aiutarle.
Yoani Sánchez
Traduzione di Gordiano Lupi