L’euro è in fiamme. Le idee di George Soros su come spegnere l’incendio, avanzate su queste colonne negli ultimi giorni, sono abbastanza radicali da avere finalmente qualche probabilità di convincere i mercati e perciò vanno sostenute senza riserve.
Vista la profondità di questa crisi, tuttavia, vale la pena di provare a guardare un pochino più lontano. Se le idee di Soros venissero tradotte in pratica – come noi speriamo – l’Unione europea finirebbe per essere uno stranissimo animale, una specie di mostro mitologico dal corpo enorme e dalla testa microscopica.
Con l’emissione di eurobond su larga scala, ad esempio, l’UE diventerebbe un’entità con nessuna funzione di governo importante al di fuori della sfera economica, senza un Tesoro, con un bilancio minuscolo pari all’1% del PIL dell’Europa, speso tutto in sussidi di dubbia utilità – ma con una moneta rivale del dollaro su scala globale, una Banca Centrale, una Corte di Giustizia, un Parlamento a elezione diretta e sul groppone un debito sovrano pari a minimo il 60% del PIL dell’eurozona, ma probabilmente anche di più, molto di più (dipende da quale proposta viene alla fine accettata).
Sarebbe insomma la più grande tecno-struttura economica pubblica della storia – ma in quanto tale radicalmente incomprensibile ai cittadini europei. Tra l’altro, come verrebbe amministrata l’Agenzia del debito, presumibile erede dell’EFSF? All’unanimità, a maggioranza, con voti pesati secondo il differente peso economico degli Stati membri?
Forse è arrivato il momento di provare quantomeno a rimettere il processo di integrazione europea sui piedi, invece che sulla testa come è ora smettendo di consentire alla politica economica e finanziaria di guidare il processo politico europeo. Non sarà tempo di provare a fare il contrario?
Sempre e ovunque i cittadini pagano le tasse per avere in cambio alcune basilari funzioni di governo: legge e ordine, giustizia, sicurezza; e poi sanità, educazione, sicurezza sociale, una moneta come mezzo neutrale di scambio. Tassare e spendere per offrire alcuni o tutti questi beni pubblici, consente a un governo di avere, anche e in seconda battuta, i mezzi per contrastare o prevenire le crisi con la stabilizzazione macroeconomica o la redistribuzione.
Non si può andare avanti all’infinito a fare le cose a rovescio, cioè a confinare l’Unione europea a una missione di pura stabilità finanziaria e macro-economica e a far seguire da qui tutto il resto. Succede invece che la stabilità finanziaria non c’è e in più non segue proprio niente.
Occorre, secondo noi, provare a guardare un po' più avanti a un assetto in cui la politica economico-fiscale deriva dalle funzioni di governo tipiche di una forma statale, di un contratto sociale - e non le guida come è invece nell'UE di oggi.
Alla fine, anche l’Unione europea dovrà pure funzionare nell’unico modo logico e comprovato dalla storia: tassare e spendere per fornire alcune importanti funzioni di governo ai propri cittadini e su queste basi avere un Tesoro che accompagni l’azione della sua Banca Centrale. Per usare le parole dello stesso Soros: «qualcosa come un ministero europeo delle finanze che abbia legittimità finanziaria e politica».
Sono sessant’anni che ci giriamo attorno, ma non si scappa: bisogna fare gli Stati Uniti d’Europa. Per farlo ora, sull’onda della più grande crisi economico-finanziaria dagli anni trenta, occorre vincere due grandi paure. La prima è quella di creare un cosiddetto superstato europeo che soffochi gli stati nazionali. La seconda è quella che hanno tutti gli Stati membri, chi più chi meno, di perdere sovranità proprie a favore di un centro federale.
Quanto alla prima, c’è da dire che la Federazione che sarebbe realisticamente giusto fare oggi, lungi dall’essere un superstato sarebbe al contrario una “Federazione leggera” che assorbe e spende attorno al 5% del PIL europeo – mentre la spesa pubblica degli stati nazionali europei maggiori si aggira attorno alla metà dei rispettivi PIL.
Un bilancio di 600-700 miliardi di euro consentirebbe all’Unione di svolgere – anche e all’occorrenza – funzioni di stabilizzazione macro-economica e redistribuzione via ordinaria manovra fiscale, tassando di più gli stati in espansione e meno quelli in recessione. Senza creare meccanismi ad hoc o, peggio, dar luogo a tutta la pubblicità che circonda vertice dopo vertice chiamato a decidere il prossimo pacchetto di aiuti ai paesi in difficoltà.
Le funzioni di governo che sarebbe logico spostare a livello europeo sono, a nostro avviso, la difesa (abbiamo 27 eserciti nazionali, due milioni circa di persone in divisa, costo annuale 230 miliardi di euro, efficienza vicino allo zero), la diplomazia (compresi gli aiuti allo sviluppo e quelli umanitari), il controllo delle frontiere e dell’immigrazione, la creazione delle grandi reti infrastrutturali europee e alcuni programmi di ricerca scientifica di grande respiro – nonché quello che il bilancio dell’Unione già fa, ovvero gli aiuti alle regioni più povere e in ritardo di sviluppo.
Quanto alla perdita di sovranità questa c’è già e così evidente che è inutile avere remore o rimpianti. Mario Monti ha adombrato il concetto di commissariamento del governo italiano da parte di «un governo tecnico sopranazionale … con sedi sparse tra Bruxelles, Francoforte, Berlino, Londra e New York» a proposito della decisione, annunciata venerdì 5 agosto, di anticipare il pareggio di bilancio.
Ma per lo stesso commissariamento sono già passati greci, portoghesi, irlandesi e spagnoli. E attenzione: anche la sovranità tedesca è di fatto limitata dalle responsabilità che la Germania ha verso il resto dell’eurozona.
Invece di piangere per la sovranità nazionale persa, a noi viene da dire “meno male” – meno male che c’è qualcuno da qualche parte disposto a correggere le nostre cantonate e i nostri endemici ritardi. Meno male che, grazie anche alla saggezza di un Altiero Spinelli e di altri padri fondatori dell’Europa, non siamo soli al mondo come lo è, ad esempio, l’Argentina.
Invece di avere “un governo tecnico con sedi sparse”, tanto vale allora avere un governo politico a livello federale a Bruxelles, con un mandato e dei poteri definiti e circoscritti per legge. Un governo cui tutti hanno ceduto un pezzo della propria sovranità su un piede di parità che può tassare e spendere cifre non enormi – una “Federazione leggera” – ma significative.
Sono ormai sessant’anni che l’Europa elude la soluzione del suo problema politico. Non foss’altro che per uscire da questa crisi e salvare l’euro, a noi sembra arrivato il momento di rompere questo tabù.
Emma Bonino, Marco De Andreis
(da Il Sole 24 Ore, 18 agosto 2011)