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Rosa nel Pugno. Appunti per un dibattito e una riflessione
21 Luglio 2006
 
1) Da tempo Marco Pannella ci sollecita e ci pungola, con lettere, interviste, interventi su Radio Radicale e Notizie Radicali; e chiede a tutti noi chiede uno sforzo di riflessione sulla “cosa” Rosa nel Pugno, sulla sua crisi; su quello che vogliamo sia, e diventi. Sono già molti e qualificati gli interventi; e tuttavia è opportuno continuare ad arricchire la riflessione, proseguire questo dibattito, “togliere le serrature dalle porte, togliere anche le porte dai cardini”, come cinquant’anni fa invocava un poeta americano. Pannella opportunamente in queste settimane pone l’accento sul rispetto delle regole, sulla necessità di rispettare una procedura; chiede a gran voce che la Rosa nel Pugno e i suoi organismi dirigenti siano messi nella condizione di poter lavorare; che si convochi la segreteria, e poi, a cascata, la Direzione allargata e quella che definisce la “Fiuggi 2”: condizione preliminare e necessaria per il rilancio di quel Partito che ha suscitato tante legittime speranze, e che ora rischia seriamente di morire per inedia procurata.
2) Non bisogna stancarsi in questa richiesta “formale”, consapevoli che mai come in queste occasioni, il rispetto della forma è sostanza. Ed è stupefacente l’atteggiamento dei dirigenti dello SDI, che oppongono un esplicito, immotivato, ostruzionismo a questa “road map”. Un comportamento e un atteggiamento che legittimano il sospetto che si stia aspettando (e preparando) il classico pretesto, per poter far saltare il banco e dichiarare ormai impraticabile qualsiasi ulteriore forma di collaborazione con i radicali. C’è comunque da chiedersi se si rendano conto della pesante, grave, responsabilità che si assumono con questo loro comportamento. I rimproveri mossi a Pannella per il suo “fare” e “come fare”, sono, non bisogna aver timore delle parole, pretestuosi. Pannella ci indica le stelle; loro obiettano che l’unghia del dito è orlata di sporco. E per non nasconderci nulla: la Rosa nel Pugno, fin dal suo nascere è stata salutata con diffidenza, ostilità, fatta oggetto di irrisione. Abbiamo dovuto patire i commenti volgari e meschini di un Giorgio Bocca o di un Edmondo Berselli, che hanno fornito di noi un’immagine deformata e caricaturizzata, ma lasciano comunque il tempo che trovano. Più preoccupante, invece, il “saluto” che ci ha voluto riservato, in un passaggio di un’intervista di qualche settimana fa, Massimo D’Alema; che sia interessato a che la Rosa nel Pugno non fiorisca, non si affermi è nei fatti oltre che nelle sue parole: in omaggio e coerenza a un calcolo miope che si iscrive in un corposo catalogo di errori e inadeguatezze consumati dal presidente dei DS (e ora ministro degli Esteri). Ma è credibile, possibile, probabile, che non manchino orecchie disposte a subire l’incantamento di certe sirene.
3) Dicevo della pesante responsabilità che i dirigenti dello SDI si assumono. Perché in gioco non è la semplice sommatoria dei radicali e dello SDI: è operazione, questa, di nessun interesse. Non è questo che ci dicevano, quando questo progetto cominciava a prefigurarsi, i tanti che lo hanno salutato con fiducia e interesse; se c’è qualcuno che lo pensa o lo ha pensato, davvero nulla ha compreso di quel che s’intende, e intendeva, nello scandire “Fortuna, Blair, Zapatero”. Di più: nulla ha compreso di quella parola d’ordine che era ed è: assicurare l’alternanza oggi, per costruire l’alternativa domani. Questa è l’ambizione, questa è la posta in gioco. “Biciclette” o “tricicli”, zoppi che si caricano sulle spalle dei ciechi chiedendo loro di indicar la strada, non appartengono al nostro orizzonte politico.
4) Chi scrive ha salutato fin dall’inizio con favore il progetto della Rosa nel Pugno, per tante buone ragioni alcune delle quali vale la pena di ricordare, perché a volte rischiamo di smarrire la memoria della nostra storia. Cent’anni fa si consumò a Milano una sanguinosa repressione, guidata dal generale Fiorenzo Bava-Beccaris. Alle cannonate, e alla brutale repressione del maggio 1868, i milanesi risposero dando la maggioranza per il comune alla lista unitaria (si chiamava anche quella Unione): raggruppamento di radicali, repubblicani e socialisti. Per Filippo Turati e la Critica Sociale l’accordo non rappresentava un fatto episodico. Piuttosto era «l’elemento centrale della nuova strategia» da adottare. Un’alleanza che consente il varo di un piano di riforme politiche ed amministrative: dalla refezione scolastica alla costruzione di case popolari e la municipalizzazione dell’energia elettrica. «Milano», scrive Gaetano Salvemini, «in quei mesi non faceva altro che anticipare le tendenze che sarebbero state accolte poi dal resto d’Italia, facendo nascere quell’alleanza che poi sarebbe stata fondamentale nello sconfiggere la reazione di fine secolo».
5) Ma veniamo a tempi a noi più vicini. Doppia tessera, radicale e socialista da sempre, Loris Fortuna è un campione di quell’Italia laica, socialista e libertaria che viene quotidianamente mortificata e che pur tuttavia irriducibile esplode quando meno ce lo si aspetta. In un articolo, “Doppia tessera e tradizione socialista”, del 1972, scrive Fortuna: «È necessario reggere un urto generale, ciascuno di noi nel suo partito, e che il Partito Radicale si rafforzi in una tenuta continua, e contemporaneamente si organizzi un movimento di massa. Ho proposto come perno di un rilancio del Partito Radicale dei socialisti, una Costituente Laica. La prima cosa da fare è dichiarare pubblicamente che credo giusto ritornare al vecchio metodo di iscrizione che fu del primo socialismo italiano. Ritengo che si debba riproporre, sia anzi un motivo di arricchimento ideale e di uguaglianza in una serie di battaglie la possibilità di essere iscritto a due partiti affini, di avere la doppia tessera…».
6) Non c’è, in quegli anni, solo Fortuna che “concilia” la tessera radicale con quella socialista. Tra i tanti che decidono di iscriversi al PR mantenendo la tessera del PSI, il senatore Giorgio Fenoaltea: «La componente laica», scrive, «dovrebbe entrare in Italia nella prassi di ogni partito di sinistra, in quanto educazione al corretto pensare civile…». Si può fare un passo indietro. È opportuno ricordare che Romolo Murri, il sacerdote tra i fondatori del Partito Popolare, poi scomunicato, emarginato dalla chiesa cattolica, è stato parlamentare radicale eletto da un’alleanza laico-radical-socialista nel collegio marchigiano di Montegiorgio. Sull’Avanti! di quei giorni si legge: «…Dunque ci sembra che il Partito Socialista possa riguardare la candidatura di don Romolo Murri come la candidatura di un affine a cui non si negano adesioni e aiuti».
7) Radicali e socialisti sono sempre stati “cugini”; e in quanto tali, spesso e volentieri rissosi e litigiosi. Non si sono risparmiati nulla, come appunto accade tra “vicini” e contigui, “cugin”. Ma c’è una sorta di “legge” non scritta, tutta politica e civile, di cui conviene serbare memoria e tener conto: tutto quel poco o quel tanto che in questo paese si è riusciti a fare nel campo dei diritti di libertà, di quelle regole che ampliano il ventaglio delle nostre scelte e che “governano” la nostra vita, si è fatto quando radicali e socialisti hanno saputo e potuto trovare un comune denominatore, un’intesa: e sono state vittorie e progressi per tutti e di tutti; momenti di frizione e di polemica, al contrario, non hanno portato alcun beneficio, anzi, hanno recato danni: ai radicali, ai socialisti, all’intero paese. Sono tantissimi, e credo li abbiamo tutti ben chiari, gli esempi che si possono fare a conforto di quanto dico. Eviterò, dunque, la noia di citarli. Non dunque cosa si può, ma cosa si deve fare, è chiaro. È altrettanto chiaro che questa “cosa” interessa e continua a interessare i radicali. Piacerebbe che anche i dirigenti dello SDI ne prendessero consapevolezza, e finisse questo assurdo e masochistico tentativo di lasciare il cerino acceso nelle mani altrui. Se campana suona – e rischia, grazie al loro non “fare”, di suonare molto presto – i rintocchi riguarderanno più loro, che i radicali.
8) Anche perché ci sono quotidianità e urgenze che impongono impegno, intervento, azione politica; si scontano, al contrario, ritardi che paghiamo in termini politici e ancor più pagheremo. Se non c’è dubbio che occorre garantire la “regola” e il suo rispetto all’interno della Rosa nel Pugno, non c’è altrettanto dubbio sul fatto che si stanno cumulando pesanti e gravi ritardi su un fronte politico che costituisce forse la madre di ogni problema. In questi giorni si sta consumando una “bicamerale spartitoria” per quel che riguarda l’informazione radiotelevisiva pubblica, qualche carica è già stata assegnata e attribuita; le altre nel corso dell’estate verranno definite. Le “poltrone”, le “seggiole” e gli “sgabelli”, in ballo, secondo un calcolo approssimativo per difetto, sono tra le cento e le centocinquanta. Il tutto si svolgerà all’insegna della più vorace logica predatoria; e senza che minimamente si discuta di modelli informativi, funzioni e doveri di un servizio pubblico, ecc; le riflessioni in corso “ufficialmente”, come il dialogo su “un’altra televisione è possibile” tra Oliviero Beha, Paolo Gentiloni, Sabina Guzzanti, Marco Travaglio (Micromega n. 5/2006), da questo punto di vista suscitano un misto di sentimenti che vanno dallo sgomento allo stupefatto. Non c’è comunque dubbio sul fatto che le due componenti maggiori dell’Unione, Dl e Ds, siano impegnatissimi in questa spartizione, e che qualche “briciola” verrà concessa ai “cari” più piccoli; e avendo comunque cura di garantire fette di crostata anche a componenti dell’opposizione. Non ho dubbi sul fatto che per costume e vocazione, si resterà fuori da questo tipo di “pluralismo”; il fatto di non partecipare al “banchetto” è lodevole e meritorio, ma non sufficiente. Tutto si sta svolgendo nella più palese clandestinità. Nel senso che si parla e si vocifera con piena tranquillità di nomine con relativo bollino politico d’appartenenza; ma al tempo stesso i criteri che dovrebbero animare questo ennesimo giro di valzer non vengono né spiegati né chiariti. Naturalmente non si chiedono le “primarie”, ma chi se non la Rosa nel Pugno si trova nella condizione di potersi consentire il lusso di sollevare la questione della trasparenza, dei criteri con cui nomine e incarichi sono attribuiti?
9) C’è un problema che riguarda direttamente i radicali e le iniziative politiche di questi mesi, e la nessuna informazione che su queste iniziative viene fatta. Non c’è tematica, argomento, iniziativa agitata e portata avanti da Pannella, Bonino, Capezzone, che sia stata adeguatamente “raccontata” in termini minimamente soddisfacenti: si tratti delle questioni relative alla giustizia, all’amnistia e indulto, o delle liberalizzazioni; del “caso” D’Elia o della proposta di Pannella per scongiurare che Saddam sia condannato a morte. Lo stesso dibattito, scontro e confronto in seno alla Rosa nel Pugno è stato confiscato. E c’è poi una questione più generale che non riguarda solo i radicali, quanto i cittadini: ed è la questione di un’informazione che non è tale, che occulta fatti e notizie. Abbiamo sempre sostenuto che c’è da rabbrividire a pensare a cosa troveranno, fra cinquanta o cento anni, gli storici, nei libri che si stampano oggi: come potranno capire e interpretare quello che accade. Lo stesso discorso vale per la TV. A guardare i programmi – non importa se della TV pubblica o privata – c’è da aver paura per come si raccontano le cose, per l’immagine mistificante e mistificatoria che viene quotidianamente fornita del paese e della sua ricchezza e complessità.
10) Forse, tra le cose da fare, si potrebbe realizzare un documento da far sottoscrivere a personalità di indiscussa levatura, che denunciano come – uso un termine di storaciana memoria – sia in corso un costante e silenzioso “genocidio politico culturale” nei nostri confronti, ma più in generale nei confronti della “notizia”, dell’informazione. Un qualcosa di simile, per intenderci, al documento elaborato da Daniele Capezzone sulle questioni economico-sociali. Lo stesso mondo politico e i suoi “attori” dovrebbero e potrebbero essere interessati, dovrebbero e potrebbero rivendicare il diritto che sia fornita una immagine e una “rappresentazione” della politica che sia degna di questo nome, e non la caricaturizzazione che viene ogni giorno confezionata e propinata. «Conoscere, per poter deliberare», diceva Luigi Einaudi; ed è evidente che siamo ben lontani da questa condizione “liberale”; «Fai quello che devi, accada quello che può», dicevano Ernesto Rossi, Gaetano Salvemini e quelli del Non Mollare. Non c’è dubbio che in questi giorni e settimane quel che si deve fare è tanto. Con un piccolo senso di vertigine stavo per dire “troppo”. Ma è un pensiero, quest’ultimo, che non condivido.
 
Gualtiero Vecellio
(da Notizie radicali, 20/07/2006)

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