La mano della brezza/ accarezza la guancia dello spazio/ una volta/ e un’altra ancora./ le stelle socchiudono le palpebre azzurre/ una volta/ e un’altra ancora.
Garcìa Lorca
Alfabeti come voci, ognuna fermata dalle pagine del cuore nella sua singolarità e dedicata a poetesse amate. A loro l’autrice si unisce e silenziosa illumina la scena della sua originale ed incisiva “luce femmina” che conosce non solo le infinitezze del cielo ma anche abissi e orridi-dirupi; femmina nella sua accezione di “fecunda”, terra fertile, terra che riceve, che bacia il mare, che respira e si meraviglia del continuo rinascere della vita nella stessa morte, bambina che reclama un grembo come “aurora” che non a caso è la parola conclusiva della silloge. E alle donne dedica questo abbraccio in versi che riporterò per intero. «Echi, volti, suggestioni/ posano sillabati ritratti/ in me che vi porto/ girovaga di altre sottane./ Condenso sogni che non/ vengono più, silenzi, sospiri,/ agglutinati dolori piccoli/ che affondo nelle mie ossicine/ di femmina, che vi ha nella voce/ senza che ci sia suono./ Vorrei essere la bocca/ slabbrata per le vostre catene,/ sillabe di dolori colati/ a picco./ Di più./ Vorrei essere/ tutta la notte che manca/ alle vostre parole». In copertina (part. dipinto di Laura Belloni), l’immagine di un volto di donna azzurro fluorescente con forte zona d’ombra su un lato. Dai suoi occhi germinano e muoiono raccolti d’anime e aspettano la prossima semina nei colori che scoppiano dalla terra e dal cielo-mare in un alfabeto che si disegna «…di parole scoppiettio di consonanti/ o vocali onde morbide marine/ e quest’abbraccio fuoco d’artificio/ dilata il mio alfabeto in un altrove/ nomi risuonanti e verbi oscuri/ giovani sillabe contorte,/ piogge di suoni, sillabari/ di mondi su cui poggiare i piedi,/ tesori incastonati nei colori, / i limiti netti delle cose». Le parole diventano corpo in un espressionismo che tiene alta la tensione nelle molteplici immagini di una natura che si fa carne e sangue, «Così accatasto fascine e fascine/ per il mio rogo d’amore/ e sarò strega apprendista che danza/ sul cielo stellato del fuoco,/ farò bianca la morte/ quel giorno, è sicuro» trionfo, luce e fisicità. «Nelle anche del mare/ entra il vento,/ le inarca con dolce spinta/ e schiuma leggero/ o d’impeto/ e docile il mare risponde».
L’amplesso fra vento e mare respira forte e forte penetra l’aria anche dentro interni che, pur soffocanti presagi al bussare del dolore, apriranno le porte ad una sempre maggiore meditazione sulla vita. Gli occhi cattureranno luci invitanti a nuove energie sprigionate nell’uso variato e icastico della forma verbale (il vento “sfrangia, spiana, cavalca”, il mare aspetta seduce, chiama) «amanti che s’arruffano/ in bianche creste/ e mulinelli d’aria/ fino a respirare insieme». Il caldo alfabeto della poetessa fa emergere insieme alla sua caleidoscopica visione del mondo, la cura della parola-pittura-luce-corpo. Essa, curata dal ventre caldo della terra, dipingerà l’alfabeto di luce femmina di Elisabetta Santini.
Elisabetta Santini è nata nel 1958 a Pistoia dove vive. Si interessa da molti anni di poesia e teatro. Ha ottenuto riconoscimenti e segnalazioni in diversi concorsi nazionali per la narrativa e la poesia. Dal premio speciale della Giuria per la poesia al “Premio Borgognoni di Pistoia” nel 1991 a finalista con il testo teatrale La donna dei treni al “Premio Domenico Rea Città di Empoli” nel 2009.
Ha partecipato a spettacoli teatrali e attualmente fa parte della compagnia GAD di Pistoia.
Patrizia Garofalo
Elisabetta Santini
Alfabeti di luce femmina
Edizioni del Leone, 2010, pagg. 96, € 9,00