Una giornalista del The Wall Street Journal analizza la profondità delle riforme avviate da Raúl Castro
La giornalista del The Wall Street Journal Mary Anastasia O’Grady commenta le recenti riforme cubane e afferma che non rappresenterebbero un’evoluzione verso il sistema capitalista.
«Per i Castro il potere economico si traduce in potere politico. In passato quando i privati hanno cominciato ad accumulare ricchezza, sono sempre stati decisi consistenti aumenti di imposte tali da rendere insostenibile il lavoro por cuenta propria», scrive O’Grady. «Per quel che riguarda l’annunciata legalizzazione della vendita delle abitazioni, il nuovo mercato immobiliare vedrà lo Stato in primo piano per ritagliarsi una fetta di guadagno e migliorare le sue finanze», aggiunge.
«Saranno licenziati mezzo milione di lavoratori pubblici. Sono state concesse 171.000 licenze di lavoro privato a persone già disoccupate, ma le alte imposte rendono difficile la contrattazione salariale da parte dei negozi privati», riferisce la giornalista.
Conclude Mary Anastasia O’ Grady: «Una liberalizzazione dei prezzi, veri e propri diritti di proprietà e incentivi all’innovazione vorrebbero dire un reale cambiamento a Cuba, ma metterebbero a rischio il controllo del regime sulla vita economica e politica». Secondo l’analista statunitense il governo cubano agisce solo per conservare il potere e per garantire la sua sopravvivenza, non certo per liberalizzare l’economia. Allo stato attuale pare una posizione condivisibile.
Gordiano Lupi