Julius Winfield II Erving è stato un giocatore di basket, un artista, un uomo leale, un capellone afro prima di tagliarsi quella chioma-cespuglio da black panther pacifista.
Lo chiamavano Doctor J, il Dottore, anche se non era laureato in Medicina e Chirurgia. Però con il suo gioco poteva curare la malinconia e donare allegria a chiunque. Ci fu un tempo in cui Julius volava. Gli bastavano un campo da basket, un tabellone con canestro e un pallone bianco-rosso-blu o arancione per scatenarne la fantasia. Eleganza e stile lo contraddistinguevano. Lui sarebbe stato elegante anche con le mani in tasca.
Doctor J teneva il pallone con una mano, come nessuno sapeva fare, e poteva rimanere in aria più di qualsiasi altro essere umano spostandosi su inaudite verticali e veleggiando verso ignoti orizzonti. I canestri che faceva erano, qualche volta, impossibili solo da pensare. Poteva anche andare a prendere una monetina posata sull'orlo superiore del tabellone. Julius Erving non soffriva di vertigini.
Il Dottore ha giocato con i Virginia Squires, con i New York Nets e con i Philadelphia 76ers. Una volta, già evoluiva nei ranghi della squadra della Città dell'amore fraterno, contro i Los Angeles con la sfera riconquistata dal suo team partì da metà campo in palleggio con falcate da antico guerriero-pastore nubiano concludendo con una schiacciata. La palla nell'atto conclusivo dell'entrata in terzo tempo era stata ninnata fra mano e polso con un movimento mai più visto: la culla. Hanno provato a imitarlo, ma non si può plagiare impunemente Miles Davis o Paul Gauguin o Edgar Lee Masters.
Julius Erving, che è stato un minuteman del Massachusetts, ha reso celebre prima il numero 32 poi il numero 6, è sceso in campo 1243 volte come professionista (+ 189 gare di playoff + 11 All-Star, le Partite delle Stelle) ed era alto 201 cm. Forse, ora che ha compiuto 61 anni, è un paio di centimetri in meno. Tuttavia questo poco importa, come poco importa che oggi abbia i capelli bianchi o il volto ingrassato: nei suoi voli lui ha sempre i capelli neri e crespi e il fisico longilineo.
Nella sua carriera al college ha avuto una media-partita di 20 punti e 20 rimbalzi. Nella classifica combinata NBA/ABA Erving supera i 30.000 punti. E nessuno mai banale. Il suo gioco era un'oasi nel deserto, in cui tutti i carovanieri delle rotte perdute si dissetavano e riposavano ammirando il lucore degli astri bucare il nero manto della notte, oppure ferro dentro e velluto fuori, una danza alla Rudolf Nureyev, un incrocio esistenziale fra Moody Blues, Talking Heads e Jimi Hendrix.
Dr. J ha vinto un solo titolo NBA e altri ne ha persi clamorosamente contro i Portland Trail Blazers del Grande Rosso Bill Walton e contro i Los Angeles Lakers di Magic Johnson e del gancio-cielo di Kareem Abdul-Jabbar. Prima di gustare il dolce pomo della vittoria ha bevuto l'amaro calice della delusione e della disfatta. Ma la gloria era già sua compagna, lo sarebbe stata comunque.
Una volta sola Julius ha perduto il divino aplomb, quella ineffabile coscienza regale da antico sovrano degli Imperi Neri, contro l'altro superbo genio, anche nel trash talking, che era Larry Bird, della dinastia bostoniana. Fu un caso unico, ma nella sua irreparabilità si stenta a crederlo autentico.
La sua estensione verso l'alto era impareggiabile e il gomito poteva stare ben sopra l'anello nelle affondate. Il finger roll, il tocco dei polpastrelli, era così felpato da rievocare la più felix imago felina.
Julius Erving che praticava le celesti praterie, per poi tornare alla casa terrestre e spiegare di nuovo le ali, ha conosciuto l'abisso, il vuoto puro e oscuro, il baratro: era, tutto ciò, nelle pupille dilatate, nei polmoni allagati di Cory. Diciannove anni, il figlio. In una tomba liquida, oltre il sole della Florida.
Julius non ha visto una figlia, Alexandra, per quasi trent'anni. I due senza saperlo, anche nella distanza, si sono sempre amati.
Julius è, a suo modo, un eroe. La sua figura, con sentimenti ed emozioni, giace sotto forma di autografo nella copia di un mio libro. Lui è un vecchio amico.
Julius Winfield II Erving... il vento lo porterà.
Alberto Figliolia