Il presidente del Consiglio ieri ha deciso di farsi vedere sia alla Camera che al Senato. Gli italiani lo ringraziano di cuore perché si è ricordato che questo Paese è una democrazia parlamentare.
Berlusconi ha aspettato che le borse chiudessero e ha iniziato il suo discorso sui temi economici. “Il Paese è solido” è stato da subito il grido di battaglia con cui il premier ha esordito. Più che un’informativa sulla crisi, abbiamo assistito a un comizio da campagna elettorale in cui il capo del Governo ha ribadito la volontà di rimanere a palazzo Chigi fino al 2013.
Ignorando completamente i recenti dati dell’Istat e i moniti saggi e lungimiranti che provengono dalla Banca d’Italia, Silvio Berlusconi ha osato dire che la nostra economia e la nostra politica sono solide.
Ha descritto un’Italia felice, ricca che non ha alcun problema finanziario. Una penisola spensierata nella quale le imprese godono ottima salute e la solidità del sistema bancario è un’eccellenza di cui tutti dovremmo andare fieri.
Visti i precedenti, dal discorso del presidente del Consiglio non ci aspettavamo nulla di nuovo. Per tre anni egli ha minimizzato sugli effetti della crisi, ignorandone l’esistenza e invitando gli italiani a essere ottimisti nei consumi.
Poi la situazione è precipitata, ma l’atteggiamento di Berlusconi di fronte alla recessione che morde nel Paese che egli governa è sempre stato lo stesso. Leggerezza, superficialità e soprattutto assenza totale di una seria politica economica, subordinata sempre alle barzellette e alle leggi ad personam.
Sul Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli, aspettando l’intervento parlamentare di Berlusconi, ha scritto che la casa brucia ed è necessario domare l’incendio. Per non meritarci la sfiducia dei mercati occorrono risposte immediate e provvedimenti concreti per convincere il mondo della finanza della nostra correzione dei conti e della nostra volontà di crescere.
Finora il governo non è riuscito nell’impresa e ieri Silvio Berlusconi davanti agli italiani ha parlato delle sue tre aziende quotate in borsa e della sua lotta in trincea in un paese economicamente solido che esiste soltanto nei suoi sogni.
Nicola Vacca