Ettore Messina, 46 anni, scudetti e coppe a iosa fra Virtus Bologna, Benetton Treviso e ora anche CSKA Mosca, con il corollario di 3 Campionati Europei per club – l’ultimo conquistato il 30 aprile guidando dalla panchina il CSKA Mosca, vera potenza cestistica della Grande Madre Russia - è uno dei nostri sportivi di rango che hanno raccolto la sfida di cimentarsi in una nazione straniera, non avendo più alcunché da dimostrare sui parquets del Bel Paese e trovando dunque il coraggio di andare altrove e rimettersi in discussione. Come hanno fatto, da giocatori, anche Gianluca Basile, Gregor Fucka e Denis Marconato nelle file dei blaugrana barcellonesi, i quali a Praga hanno ceduto le armi nelle Final Four di Eurolega contro il Maccabi Tel Aviv, poi sconfitto 73-69 dalle truppe cestistiche del prode Ettore...
Coach, quali differenze ha riscontrato fra la Russia e l’Italia del basket?
«In Russia le squadre sono tatticamente molto organizzate, con un minore uso del pick-and-roll (un gioco a due fra playmaker e pivot) e un maggior uso di tagli e del gioco interno. Quella russa è sicuramente una Lega alta e grossa, di stazza quanto a dimensioni dei giocatori, ma anche tecnica. Della filosofia della vecchia scuola sovietica rimane, per esempio, per i giocatori di San Pietroburgo un’ottima mano per il tiro. Quel che strano è, però, che ci sono pochissime guardie e nessun playmaker di livello, tant’è vero che la Nazionale Russa ha naturalizzato un giocatore americano».
Le più grandi rivali del CSKA in Russia, che pure lei ha dominato?
«Le due Dynamo Mosca, San Pietroburgo, Khimki e Unics Kazan». Per la cronaca il CSKA ha vinto, poco prima del trionfo in terra ceca, pure la Coppa di Russia battendo in finale proprio il Khimki. Messina dopo i fasti bolognesi ha replicato l’epopea di un Grande Slam, in cirillico stavolta.
In base all’amplissima esperienza da lei maturata, allenando i migliori club d’Italia, l’organizzazione della sua attuale società in paragone con quelli nostrani?
«Il CSKA dispone di mezzi superiori, constando il suo staff di una trentina di persone. Peraltro le risorse e i grandi mezzi sono usati con attenzione, senza essere inutilmente sperperati».
Le distanze da una città all’altra sono enormi...
«Il campionato copre distanze gigantesche. Pensi che abbiamo giocato a Vladivostok, sulle sponde dell’Oceano Pacifico, al capolinea della Transiberiana, e a Novosibirsk, in Siberia, sul fiume Ob. È molto interessante osservare e capire un paese come questo, in costante evoluzione, sebbene alcune generazioni, quelle più anziane soprattutto, ne stiano pagando il peso. I giovani, che conoscono anche le lingue, fanno meno fatica. Il problema vero di questa immensa nazione, così difficile da tenere insieme e controllare, è garantire uno sviluppo equilibrato».
Che cosa significa per uno vissuto sempre in Europa Occidentale trasferirsi in Russia?
«Prima di tutto un notevole spirito di adattamento. Vale per me e la mia famiglia: io sono venuto qui con mia moglie e il figlio più piccolo, mentre la figlia maggiore, che deve sostenere quest’anno l’esame di maturità, è rimasta in Italia. Viviamo in una città di eccezionale vastità, quale è Mosca: tutto qui è grande. Tuttavia, quando non sono stato impegnato dal basket, non mi sono certo mancate le cose da fare o da vedere: uno spettacolo, un concerto, una cena o i musei. Sono andato a visitare anche la casa di Tolstoj».
Come va con la lingua?
«Sto cercando d’imparare, e non è facile. Mi esprimo a infiniti monosillabi; posso ordinare da mangiare o dare degli ordini in allenamento. Sicuramente capisco il russo un po’ di più di quanto lo parli».
E la cucina?
«A casa mangio italiano. Nei supermercati si trova tutto il cibo cui siamo abituati. Anche se debbo dire che la cucina russa non mi dispiace».
Si sente più ricco dal punto di vista umano?
«Mi ha molto colpito il carattere della popolazione; si tratta di gente dal notevole senso dello humour, non dissimile da quello di noi italiani, capaci di arrangiarsi in ogni circostanza».
Nostalgia dell’Italia?
«Per forza. I parenti e gli amici sono là e ho ancora casa a Bologna».
La sua è una migrazione, seppur preziosa; più un esilio dorato o un’esperienza calcolata?
«Un’esperienza di vita, un’occasione di crescita e un’opportunità professionale d’incredibile livello. Per me che sono essenzialmente una persona riservata anche la necessità di fare uno sforzo maggiore per comunicare».
Ritornerà?
«Sinceramente non so. Dipenderà da molte cose. Ora sono molto afferrato dal presente e voglio vivere sino in fondo quest’avventura».
E se un giorno saltasse direttamente dalla Russia a una panchina NBA?
«Utopie. Adesso non mi pongo affatto il problema». Soprattutto da vincente nel paese che fu del leggendario Sergeij Belov e da padrone d’Europa. Ettore Messina, il numero 1 degli allenatori del Vecchio Continente.
Alberto Figliolia