Da quando ho conosciuto ed apprezzato Matteo Veronesi (foto) leggo il suo blog pieno di riflessioni intelligenti e di profonda poesia, quella che in questi tempi pochi poeti hanno ancora la forza di tentare.
Mi sono arricchita dei suoi scritti sempre aperti al dialogo e spesso suggerenti ad intraprendere nuovi percorsi di lettura come è avvenuto con Giselda Pontesilli che ho letto, contattato e dalla cui scrittura ho trovato nuova linfa per un poesia diversa e meno obsoleta.
Stamane però ho letto uno scritto sugli pseudonimi con i quali si è ormai soliti firmare commenti sui vari siti web e giustificarli come naturali in nome di una tradizione letteraria precedente; seguono citazioni di autori che da Oscar Wild a Thomas Mann avrebbero parlato di finzione della maschera e quanto altro.
Interessantissimo e molto colto lo scritto ma cosa c’entra con noi, poveri mortali che commentiamo e scriviamo articoli di vario genere? La realtà che conosco e di cui da alcuni sono stata messa a parte induce a non identificarsi per poter dire cose infamanti, distruttive, letteralmente da denuncia con la certezza dell’impunità e la vigliaccheria di non assumersi la responsabilità di quello che abbiamo sostenuto. E quando si arriva a questo squallore allora la parola perde il senso (e la parola non è solo poesia), diventa arma per colpire e forse porta con sé la vergogna di esistere senza coraggio ed identità.
Invierò a dimostrazione di chiarezza di quanto scrivo questo brevissimo appunto a Matteo Veronesi con la stima di sempre e la mia firma.
Patrizia Garofalo