Quando Bennato dice, parlando al teatro “Valle” di Roma, occupato da attori registi cantanti ecc. contro i tagli alla cultura, dice dunque che la cultura è “alternativa”, dice una grande verità e quando soggiunge che il business quando si mescola alla cultura fa danni perché è businnes, pure. Vorrei dire qualcosa su questo tema che non è chiaro nemmeno tra noi.
Ovvio che si è contro i tagli e l'intera logica della manovra. Ma come rispondere e con quale attrezzatura teorica? Chiedere, come fa il Pd un mix di pubblico e privato (le Fondazioni), nel finanziamento della cultura è rovinoso: la moneta cattiva scaccia quella buona e il profitto buttato dentro le attività della riproduzione produce barbarie, come si vede nella medicina e nella scuola. Anche le ferrovie mescolate di pubblico e privato, anche le autostrade i trafori e le Tav, lo stesso. È sempre più evidente che esiste una economia della riproduzione che riguarda -oltre alla riproduzione della specie umana e il suo autonomo regolamento- anche scuola, sanità, servizi, amministrazione, cultura. Questo ampio settore della vita associata, cioè della politica, appartiene a un'economia, che non produce, né deve produrre profitto senza diventare fonte di barbarie: tanto per non far nomi nella tradizione marxista si parla -contro un economicismo deteriore- di beni e valori d'uso, che per l'appunto non producono profitto, ma soddisfano diritti della cittadinanza e anche diffondono una cultura dell'autoproduzione di abitazioni a proprietà indivisa, spettacoli autogestiti, case editrici autoproduttrici di opere, agenzie mutualistiche di distribuzione dei beni autoprodotti ecc. ecc., scuole a gestione pubblica, ospedali, amministrazione con controllo diretto ecc. ecc. Altrimenti, fare bambini e bambine per venderli? fare scuola per finanziare gli alberghi durante la stagione morta con le settimane bianche per chi può pagarsele? fare pubblica amministrazione per indurre la cittadinanza a rovinarsi con il gioco d'azzardo di stato? e perché mai allora non rifare i bordelli di stato che pagano tasse? tanto pecunia non olet, come ben sapeva Vespasiano. E ognivoltache si progettano strade autostrade ferrovie trafori, che poi vanno spessissimo in appalto all'Impregilo, nessuno si chiede mai se non stiamo distruggendo una fondamentale risorsa, cioè la terra coltivabile che nel nostro piccolo affollatissimo e montuoso paese è poca? il profitto vale di più e le gare di appalto vanno sempre a pochi, che poi magari si scopre che avevano relazioni d'affari magari poco pulite con il sindaco di Sesto Sangiovanni -misericordia!- la Stalingrado d'Italia!
Bisogna dire con forza che la cultura è uno dei fondamenti dell'alternativa, proprio perché può prefigurare il futuro e il mondo possibile che non c'è ancora. E per questo deve poter essere totalmente libera, e avere le risorse che le servono, controllatissime pubblicamente rispetto alla regolarità amministrativa, come chi soddisfa un diritto della cittadinanza: la cultura è un diritto e le risorse che servono per renderla possibile sono risposta a un diritto della cittadinanza.
Fino a quando il capitalismo è in una fase affluente interviene e il danno è rimediabile e lo dimostra la Scuola di Francoforte col suo hegelomarxismo, e il controllo e appoggio all'industria culturale, uno dei frutti più straordinari della socialdemocrazia di sinistra. Ma quando il capitalismo ha imboccato una crisi strutturale e mondiale e non sa mettere in campo per tentare di uscirne, se non pallide imitazioni neokeynsiane, ci si debbono fare domande appunto più veramente “alternative”. Anche perché il neokeynesismo può sempre mettere all'odg il ricorso alle guerre dette regionali e a bassa intensità, cioè che al massimo fanno 1 megamorto, (un milione di morti) come danno collaterale. E quanto alla specie umana e alla sua sopravvivenza non viene almeno in parte programmata in relazione a risorse esistenti e stimabili, ma si lascia fare alla “natura”, cioè epidemie siccità, morte per fame sete ecc. come nel Corno d'Africa, oppure alle migrazioni senza programma. E non si dovrebbe chiamarla economia criminale? che invece si chiama frutto e orgoglio della più reputata “civiltà” esistente, quella “occidentale”, menzognera fino dal nome, visto che ne è parte strutturale il Giappone in barba a tutti i punti cardinali! E dicono che non sono “ideologici”.
Lidia Menapace