Dio è morto, Marx pure e lo Stato di diritto nel nostro Paese non sta poi mica tanto bene. Anzi possiamo tranquillamente accertare la sua morte. Da anni è in corso una lotta crudele tra la politica la giustizia. Da questo conflitto perenne esce sconfitto un intero sistema e oggi possiamo affermare a malincuore che in Italia la legge non è uguale per tutti.
Il giustizialismo di Mani Pulite e l’impunità del berlusconismo sono i principali responsabili del naufragio totale della giustizia nostrana.
La Seconda Repubblica non è decollata perché la Prima è stata spazzata via con la violenza della via giudiziaria alla politica. Questo è un passaggio fondamentale per comprendere la malattia istituzionale della nostra democrazia parlamentare. È necessario fare un passo indietro, e tornare agli anni della ghigliottina mediatica. Un manipolo di giudici, riunitosi in un Pool, misero in atto con l’abuso della carcerazione preventiva una campagna di odio contro la Dc e il Psi.L’obiettivo era il loro abbattimento, senza aver alcun rispetto per le regole fondamentali dello Stato di diritto.
Il Pool aveva le idee chiare: abbattere la democrazia dei partiti con lo strumento antidemocratico del giustizialismo. Napoleone Colajanni in un libro dedicato a quella stagione (Mani Pulite? Giustizia e politica in Italia, Mondadori, 1996) affermò che tra le cause dell’attuale stato d’incertezza, non solo politica, in cui versa il nostro Paese si debba annoverare anche il modo in cui ha operato la magistratura. È illuminante quanto scrive a proposito dei giudici di Tangentopoli. «Questi uomini avevano però alcune caratteristiche comuni: l’avversione per il sistema dei partiti, che di fatto diveniva avversione per la democrazia così come esiste in Italia; la consapevolezza di disporre di uno strumento formidabile, qualora lo si fosse potuto usare, per operare il cambiamento; un orientamento, che si potrebbe definire fondamentalista, per cui la giustizia è una sorta di macchina inesorabile al cui centro è l’obbligo dell’azione penale, da portare avanti in ogni circostanza, qualunque essa sia».
La via giudiziaria alla politica con il terribile tintinnio delle manette ha aperto scenari inquietanti.
Poi è arrivata la stagione delle leggi ad personam, che ha avuto il suo apice nell’ennesimo voto di fiducia con cui il Senato ha approvato il processo lungo.
La legge approvata ieri garantisce di mandare in tilt l’intero sistema giudiziario: i giudici hanno l’obbligo di ammettere tutti i testimoni pertinenti alla causa senza alcun margine valutativo possibile sulla loro rilevanza o superfluità rispetto alle circostanze da accertare. Questo significa che l’impunità raggiungerà ampiezze macroscopiche.
Il giustizialismo sommario di Tangentopoli ieri, e la strategia di demolizione delle regole costituzionali del diritto praticate dai berlusconiani oggi, hanno dato il colpo di grazia definitivo alla speranza di ridare dignità al concetto di giustizia giusta.
L’Italia non è più la culla del diritto, ma ne è la tomba.
Nicola Vacca