Quello che segue è il testo dell’intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al Convegno “Giustizia! In nome della Legge e del Popolo sovrano” che si conclude oggi alla sala “Zuccari” del Senato.
Questo incontro ha un'ispirazione e un'impronta che lo rendono diverso da altri tradizionalmente rivolti, per iniziativa di singole forze politiche o di competenti istanze parlamentari, a porre in evidenza un tema di interesse più o meno rilevante o attuale. Perché esso da un lato nasce dalla sollecitazione di un movimento e di una personalità non riducibili agli schemi politici dominanti e dall'altro lato si concentra su una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile.
La figura di Marco Pannella animatore di una lunga teoria di battaglie radicali nel Parlamento e nel paese ha sempre avuto un suo singolare timbro di assoluta autonomia da tutte le logiche di schieramento, di intransigenza morale e di forza mobilitatrice ben oltre i limiti del partito-raggruppamento di avanguardia da lui guidato. Il filo rosso delle battaglie radicali è sempre stato essenzialmente quello dei diritti costituzionali e del progresso civile, in una visione non puramente formale e non reticente dei problemi e dei limiti della nostra democrazia : è oggi l'occasione, per l'insieme delle istituzioni repubblicane, per darne a Marco pieno riconoscimento, al di là di tutte le differenziazioni legittime rispetto a suoi giudizi o a sue iniziative.
E tra i problemi costantemente da lui posti c'è stato certamente quello della giustizia, del diritto dei cittadini a una “giustizia giusta” e all'effettivo rispetto della loro dignità se colpiti da sanzioni per imputazioni o per condanne.
Ora, quel che ci si vuole e ci si può proporre nel Convegno che si apre oggi non è una ricognizione o ricapitolazione esaustiva di infiniti confronti e scontri su tutti gli aspetti della questione giustizia. Si intende piuttosto mettere a fuoco il punto critico insostenibile cui è giunta la questione, sotto il profilo della giustizia ritardata e negata, o deviata da conflitti fatali tra politica e magistratura, e sotto il profilo dei principi costituzionali e dei diritti umani negati per le persone ristrette in carcere, private della libertà per fini o precetti di sicurezza e di giustizia.
I più clamorosi fenomeni degenerativi che si sono prodotti - in primo luogo quello delle condizioni delle carceri e dei detenuti - e anche le cause di un vero e proprio imbarbarimento di quella già pesante e penosa realtà, e anche le indicazioni circa possibili vie d'uscita, hanno formato oggetto di interventi di alto livello come quelli degli oratori che mi hanno preceduto. E di ciò credo che dobbiamo essere grati in special modo, per la loro sapienza ed esperienza specifica, al giudice Lattanzi e al Presidente Lupo. Non è mio compito - e comunque non potrei pretendere di farlo - ribadire o integrare considerazioni e orientamenti così puntuali e giuridicamente appropriati.
Mi limiterò a ricordare come - e ve ne è abbondante documentazione - io sia tenacemente intervenuto, nei già trascorsi cinque anni del mio mandato, su preoccupazioni ed esigenze relative sia al superamento di gravi inadeguatezze e insufficienze del "sistema giustizia" in Italia sia al rispetto degli equilibri costituzionali nel rapporto tra politica e giustizia. L'ho fatto ancora pochi giorni fa nell'incontro con i nuovi magistrati in tirocinio, dopo averlo fatto in numerose occasioni dinanzi al CSM o in altre sedi. E non è necessario, e sarebbe di cattivo gusto, che io ricorressi ad auto-citazioni.
Quel che mi preme riprendere e sottolineare è un dato molto significativo emerso dagli interventi precedenti: e cioè il peso gravemente negativo di oscillanti e incerte scelte politiche e legislative. Oscillanti e incerte tra tendenziale, in principio, depenalizzazione e "depenitenziarizzazione", e ciclica ripenalizzazione con crescente ricorso alla custodia cautelare, abnorme estensione, in concreto, della carcerazione preventiva. Di qui una realtà che ci umilia in Europa e ci allarma, per la sofferenza quotidiana - fino all'impulso a togliersi la vita - di migliaia di esseri umani chiusi in carceri che definire sovraffollate è quasi un eufemismo, per non parlare dell'estremo orrore dei residui ospedali psichiatrici giudiziari, inconcepibile in qualsiasi paese appena appena civile - strutture pseudo-ospedaliere che solo recenti coraggiose iniziative bi-partisan di una commissione parlamentare stanno finalmente mettendo in mora.
Evidente in generale è l'abisso che separa, come si è detto, la realtà carceraria di oggi dal dettato costituzionale sulla funzione rieducatrice della pena e sui diritti e la dignità della persona. È una realtà non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita, e dalla quale non si può distogliere lo sguardo, arrendendosi all'obbiettiva constatazione della complessità del problema e della lunghezza dei tempi necessari - specie in carenza di risorse finanziarie adeguate, come ha spiegato il Presidente Giampaolino - per l'apprestamento di soluzioni strutturali e gestionali idonee. C'è un'emergenza assillante, dalle imprevedibili e al limite ingovernabili ricadute, che va affrontata senza trascurare i rimedi già prospettati e in parte messi in atto, come ha ricordato il sottosegretario Caliendo, ma esaminando ancora con la massima attenzione ogni altro possibile intervento e non escludendo pregiudizialmente nessuna ipotesi che possa rendersi necessaria.
Ho apprezzato il richiamo del Presidente Lupo allo sforzo cui l'emergenza carceraria chiama anche i giudici, ma è fondamentalmente dalla politica che debbono venire le risposte. Sappiamo che la politica, quale si esprime nel confronto pubblico e nella vita istituzionale, appare debole e irrimediabilmente divisa, incapace di produrre scelte coraggiose, coerenti e condivise. Ma non sono proprio scelte di questa natura che ogni giorno di più si impongono, dinanzi alla gravità dei problemi e delle sfide che ci incalzano non solo nel campo cui si riferisce questo Convegno ma in altri non meno fondamentali? Non dovremmo tutti essere capaci di un simile scatto, di una simile svolta, non foss'altro per istinto di sopravvivenza nazionale?
Ci si rifletta seriamente, e presto, da ogni parte.
Roma, 28/07/2011
Fonte: Presidenza della Repubblica