Con Agota Kristóf scompare una delle voci più interessanti e problematiche della letteratura europea. Scrittrice ungherese fuggita in Svizzera, nei suoi libri con parole lucide e spietate racconterà attraverso l’esperienza dell’esilio il dolore e il male che aggrediscono il pianeta.
La sua lingua turba il lettore, le sue piccole verità inchiodano la coscienza alle proprie responsabilità.
Basta leggere la Trilogia della città di K., il suo capolavoro, per rendersi conto di trovarsi di fronte una scrittrice autentica che come poche ha affrontato il male di vivere tenendo conto dei risvolti interiori: la Kristóf nella sua opera chiama in causa la fragilità umana di fronte al grande male del mondo che non smette di avere fame.
Dal suo esilio esistenziale la grande scrittrice ungherese ha testimoniato la crudeltà del secolo breve scrivendo storie estreme da cui è difficile affrancarsi.
La sua prosa è un enorme macigno di consapevolezza. Nelle sue pagine la riflessione esistenziale appare nella sua autentica crudeltà.
La sua scrittura breve colpisce nel segno e spiazza per l’anelito di verità che le sue parole e le sue visioni esistenziali raggiungono.
«La distanza, con la quale ottiene una resa stilistica molto personalizzata che certamente non si confonde con nessun’altra. E poi il modo di rendere nude le cose e le situazioni che diventano da un lato universali ed emblematiche, in quanto stilizzate, ma che dall’altro si avvertono crudelmente vere e fanno riemergere la partecipazione sofferta della scrittrice a quanto va raccontando». Così ha scritto di lei Paolo Mauri, critico letterario di Repubblica, fra i primi a leggere e divulgare in Italia i libri della Kristóf.
La decadenza, lo spirito errante della condizione umana, la solitudine e il suo rapporto intimo con la disperazione, il confronto impari tra verità e menzogna, le dinamiche perverse del male che si riversano nel fiume della Storia.
Questi sono i temi complessi che la scrittrice ungherese affronta nei suoi libri.
Agota Kristóf con la sua opera ha attraversato l’angoscia del mondo passando per il suo dolore personale.
Dentro i suoi libri c’è la vita con il suo pesante carico enigmatico di sofferenza e di dolore.
«Mi metto a letto e prima di addormentarmi parlo mentalmente a Lucas, come faccio da molti anni. Quello che gli dico è più o meno la stessa cosa di sempre. Gli dico che se é morto, beato lui, e che vorrei essere al suo posto. Gli dico che gli è toccata la parte migliore e che sono io a dover reggere il fardello più pesante. Gli dico che la vita è di una inutilità totale, è non-senso, aberrazione, sofferenza infinita, invenzione di un Non-Dio di una malvagità che supera l'immaginazione».
Quello della Kristóf è un mondo senza speranza, né redenzione. Qui non ci sono innocenti, né colpevoli e il castigo vuole sempre la colpa.
Nicola Vacca