Raúl Castro ha preso parte a Ciego de Ávila alla cerimonia di commemorazione del 26 di luglio, in occasione del 58° anniversario del fallito assalto alla Caserma Moncada, ma come lo scorso anno ha lasciato che fosse il vicepresidente, José Ramón Machado Ventura, a compiere l’intervento principale.
Il generale Raúl Castro si è limitato a consegnare i diplomi alle province che si sono distinte per “emulazione socialista”.
Il discorso di Machado Ventura è stato caratterizzato da un insieme di luoghi comuni, senza toccare principali preoccupazioni dei cubani. «Non abbiamo sentito un nuovo annuncio, né una frase originale, ma solo grigia retorica e parole d’ordine, dalle quali un giornalista avrà difficoltà a tirare fuori un titolo», ha scritto Yoani Sánchez. Le conclusioni della celebrazione hanno evidenziato la necessità del regime di dare una spinta decisiva alle riforme economiche per garantire la sua sopravvivenza. Machado Ventura ha insistito sul fatto che «i lineamenti economici approvati lo scorso aprile dal Sesto Congresso del Partito Comunista, sono la guida fondamentale per attualizzare il modello economico» dell’Isola e ha detto che «si sta lavorando assiduamente» per renderli efficaci.
Machado ha aggiunto che bisogna «rompere definitivamente con la mentalità dell’inerzia», mettere in atto gli impegni presi nel Sesto Congresso e lavorare con «ordine, disciplina e impegno». Machado ha fatto rilevare che bisogna combattere l’indisciplina sociale e lavorativa, le inclinazioni burocratiche, la contabilità lacunosa, il cattivo rifornimento delle materie prime. «Dobbiamo abolire gli sperperi e le spese superflue in ogni settore. Il governo continua a dare priorità alla produzione di alimenti, perché i prezzi internazionali sono aumentati e producono gravi conseguenze».
Il regime cubano sta portando avanti un piano di consegna in usufrutto delle terre oziose ai cittadini. Il vicepresidente ha ricordato che il PCC sta lavorando ai documenti che saranno discussi nella Conferenza Nazionale dell’organizzazione, annunciata per gennaio 2012, e ha detto che verranno affrontati «molti cambiamenti» sui metodi e sullo stile di lavoro del Partito.
«La Conferenza sarà il luogo deputato per analizzare il ruolo del PCC nella direzione e nel controllo sistematico del procedimento di attualizzazione del modello cubano, superando i pregiudizi contro il settore non statale dell’economia. Non stiamo mettendo pezze né improvvisando, ma cerchiamo soluzioni definitive a vecchi problemi, con i piedi ben saldi per terra, molto attenti a quel che pensa la gente, se del caso pronti a rettificare, aggiustare le misure e prendere nuove decisioni», ha detto.
Machado Ventura ha esaltato la grande dimostrazione di patriottismo e di unità politica che - a suo dire - la maggioranza dei cubani avrebbe messo in campo per difendere il socialismo.
La cerimonia è iniziata con la lettura di un messaggio da parte del presidente venezuelano, Hugo Chávez, principale alleato politico ed economico di Cuba, che ha definito l’assalto alla Caserma «uno degli eventi più importanti della storia d’America».
In mezzo a tanta retorica mi fa piacere ricordare una grande poesia di Félix Luis Viera, cubano in esilio, che dal Messico fornisce la sua peculiare definizione di patria…
Delle tue poesie quasi niente resta,
quasi niente serve,
tu, che non hai mai avuto un acquario
per addormentarti, per vagare con la mente sospesa dopo aver scritto
una cartella,
dedicasti le tue poesie alla patria
ma sbagliasti patria:
cantasti i suoi condottieri più gloriosi
invece di scrivere odi a quell’amico finocchio, codardo, triste
- rimosso dal Tiranno che divenne padrone della patria -,
incapace di sparare con una pistola ad acqua
contro il Tiranno e il suo seguito - i veri nemici dell’altra patria -,
lui sì, lui sì, quell’amico
era la patria.
Devi correggere le tue poesie,
tirar fuori da loro
le fabbriche dei discorsi,
dovrai cancellare i tuoi versi incendiari
dove confidavi in un futuro magnifico
dove cantavi l’uguaglianza tra gli uomini
dove affermasti che gli alveari sarebbero bastati per tutti,
dovrai ritrattare le poesie che scrivesti al fratello maggiore che dopo
divenne il Tiranno.
Devi bruciare queste poesie in un crematorio
e salvare solo quelle che parlavano davvero
della patria:
delle donne, dell’amore conquistato e perso, delle puttane della
tua infanzia,
di un altro amico ucciso con le pallottole davanti ai tuoi occhi, morto
sicuro che stava morendo per te, per i tuoi amici, per la patria,
e che dopo morì un’altra volta, tradito
da chi disse che la patria
era la morte,
o peggio
che erano loro stessi.
Da La patria è un’arancia (Edizioni Il Foglio, 2011)
Gordiano Lupi