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I motivi di Adonis 
Yoani Sánchez analizza la tragedia del giovane cubano morto nella carlinga di un aereo
21 Luglio 2011
 

Adonis G. B. è venuto al mondo quando nell’Europa dell’Est cominciava a sgretolarsi il sistema socialista. Ha trascorso l’infanzia tra le privazioni dei momenti più critici di quello che a Cuba è stato chiamato il Periodo Speciale. Forse ha indossato con orgoglio il suo fazzoletto da pioniere e la sua voce risuonava con forza quando a scuola gridavano la parola d’ordine “Saremo come il Che!”.

Possiamo immaginare la sua adolescenza, iniziata con i metodi educativi tipici di un insegnamento televisivo. Ha avuto l’opportunità di possedere denaro nella caos del dualismo monetario, e un bel giorno, quando cominciava a farsi la barba, guardandosi allo specchio ha visto un uomo senza aspettative.

Adesso non si tratta di dare una connotazione politica alla decisione presa dal giovane Adonis di intraprendere un viaggio nascosto nella carlinga di un aereo DC-8 Iberia, ma di trovare le cause che l’hanno spinto a morire così. La sola cosa certa è che i mezzi comunicazione ufficiali dell’Isola non hanno detto una sola parola sulla sua morte, forse sbigottiti di fronte al grado di angoscia popolare che dimostra. Nonostante il segreto istituzionale, la notizia circola ovunque mentre ci poniamo alcune domande senza risposta: la situazione di questo giovane a Cuba era insostenibile? Aveva un motivo ulteriore per compiere quel gesto disperato? Si entiva perseguitato o in pericolo? Voleva andare dall’altra parte dell’oceano per incontrare qualcuno? Per il momento nessuno lo sa. Di sicuro non ha potuto mettere in pratica il suo piano senza averlo ben studiato, perché in questa Isola non c’è niente di più protetto delle frontiere aeroportuali.

È difficile non pensare alla sua sofferenza nel ristretto spazio condiviso con le ruote dell’aereo. Sembra di sentire i dolori delle sue ossa fratturate dall’implacabile meccanismo pochi secondi dopo il decollo, il panico della reclusione, la rabbia nel capire di aver fallito lo scopo, il freddo imprevisto che ha finito per ucciderlo. Nessuno saprà mai se ha avuto il modo di pentirsi.

Non conosciamo neppure la gravità dei suoi problemi, ma possiamo intuire che non ha trovato a portata di mano nessuna soluzione per risolverli. Adonis è giunto alla conclusione che doveva abbandonare il paese. Ma non aveva un nonno spagnolo capace di consentire il cambio di nazionalità; nessuno poteva inviargli una carta d’invito; nessuna ambasciata gli avrebbe rilasciato un visto, perché la sua condizione di possibile emigrante era ben visibile. Non era neanche uno sportivo famoso, né un musicista di talento autorizzato a viaggiare e con la possibilità di disertare. Non era in contatto con i trafficanti di persone che attraversano frequentemente lo stretto della Florida e non aveva la minima idea che stava per fare una follia.

Non esiste termometro capace di misurare la disperazione umana e ognuno possiede un limite personale di resistenza. Questo giovane cubano il cui corpo è apparso in una strana posizione nell’aeroporto di Barajas, ha avuto due opportunità di partecipare alle elezioni, senza sapere mai ciò che pensavano i candidati che avrebbe eletto. Frequentava ancora la scuola primaria quando venne celebrato il quinto congresso del partito Comunista e ha dovuto attendere altri 14 anni perché il successivo appuntamento di partito annunciasse qualche cambiamento. Probabilmente non aveva una professione con un futuro né risorse per provare a dedicarsi al lavoro privato. Possedere una casa propria, nei suoi pochi anni di vita, sarebbe stata una cosa impossibile.

Adonis non poteva attendere. Se fosse rimasto nel suo paese sarebbe ancora vivo, pensando al modo migliore per fuggire da qui.

 

Yoani Sánchez

(da El Pais, 19 luglio 2011)

Traduzione di Gordiano Lupi


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