L'idea gelminiana della scuola, superficiale, tutta ipercompetitiva e senza più i tempi necessari per l'apprendimento, produce mostri come la bocciatura di una bambina di 6 anni in prima elementare
Un settimanale femminile, dignitoso e di grande tiratura, mi chiedeva ieri di trovare delle motivazioni che giustificassero e rendessero plausibile (auspicabile?) la bocciatura in prima elementare di una bambina di Ischia, quella di cui tutti i giornali hanno parlato. Ovviamente non ho risposto, ma il mio sconcerto riguarda la domanda.
Cosa è successo a questo paese e a tutti noi perché si possa anche solo pensare di ricercare e trovare delle motivazioni ad un errore pedagogico di questa entità?
La scuola che boccia in prima elementare è una scuola primaria che parla di PROGRAMMI (ovviamente maiuscoli nella loro imperiosità); è una scuola che misura con un voto il cammino di apprendimento di un bambino di sei anni; è una scuola che fa le somme; che ritiene che i nostri bambini debbano avere un percorso di apprendimento unilineare e che essi non siano, come sono, “bambini a zig-zag”, a volte in pausa, a volte con grandi balzi; è una scuola che non conosce il tempo della pazienza, indispensabile in educazione; è una scuola che ritiene che i conti si facciano sulla base di una semplice equazione: tot ore di insegnamento erogato = tot risultati attesi.
È una scuola che ha perso la memoria di sé e quindi perde se stessa. È la scuola di Tremonti-Gelmini: una scuola senza storia e senz’anima; una scuola smemorata per un paese di smemorati.
Chi ricorderà nel 2020 (per assumere un parametro europeo) cosa è stata, cosa a gran fatica, talvolta, continua oggi ad essere la scuola italiana? Non i genitori che ne conosceranno una povera e senza tempo, dove ognuno cerca il meglio per suo figlio all’insegna del “si salvi chi può”; non più i docenti in perenne affanno con un numero di alunni sempre crescente ed un tempo scuola che diventa sempre più esiguo e non consente attenzioni alle diversità di cui sono portatori i bambini e a cui i bambini stessi hanno diritto.
Il nostro invidiabile modello di scuola primaria, il grande lavoro pedagogico che l’ha attraversata diventerà il ricordo di un gruppo di testimoni nostalgici. Ma la nostalgia da reduci alla lunga è fastidiosa e rimane inascoltata.
Ed intanto cresce proprio nella scuola primaria, la prima ad essere stata tragicamente colpita dai tagli gelminiani, il numero di bambini cui viene frettolosamente diagnosticato dalla scuola un disturbo aspecifico di apprendimento. Una generazione di “bambini difettati”? un’anomalia genetica, un virus che si diffonde?
Bambini che avrebbero solo bisogno di essere seguiti con i tempi distesi che l’educazione reclama e che solo tre anni fa non facevano statistica. La scuola stessa non può occuparsene: si vada dallo specialista! Chi si farà carico dei “bambini difettati” e dei loro ritardi o della loro espulsione dal circuito della scuola? Quale costo morale e sociale rappresenteranno per il nostro paese?
La battaglia per una scuola italiana che riconosca le sue radici e la sua storia è una battaglia che ci riguarda tutti indistintamente. È una battaglia morale e di civiltà ancor prima che politica.
Angela Nava Mambretti
Presidente CGD Coordinamento Genitori Democratici
(da Partitodemocratico.it, 13 luglio 2011)