Carissima Rina,
ti scrivo ma il pianto mi affoga gli occhi, non vorrei rattristarvi, ma come fare, se la tristezza sarà ormai il mio solo retaggio?
Cara Rina, il trovarmi qui debole e ammalata lontana dalle vostre cure, è per me tal dolore che basterebbe ad uccidermi se di tratto in tratto la speranza di potervi rivedere non brillasse di vivida luce e non dasse un po’ di gioia a questo mio povero cuore.
Sì, speriamolo Rina. Ah se tu sapessi quanto è triste questo luogo. Che differenza dalla nostra casetta, dal nostro giardino, dalla mia camera da letto! Ti ricordi come amavo vederla pulita ed ordinata? E la camera da pranzo? Pure. E il salotto che c’entravo quasi sempre io sola e, piano piano lavavo l’impiantito? E quando con la Nina andavo nelle vostre camere? Povera vecchierella! Ora son passati quei tempi, più nulla…
Dimmi Rina che fa Jolanda? Va a scuola privata? E l’Aldo è buono? Sta in casa la sera? Dio mio quante brutte idee mi attraversano il cervello! Vedo la mia cara sala da pranzo con la lampada accesa che illumina il volto bruno di Nora. Cara adorata mia cosa farà? Oh non potervi essere vicina! Eppure quanti dolori mi avete dato gli ultimi giorni. Oh dimmelo, dimmelo che lo facevate apposta per decidermi ad intraprendere questa cura che tutti mi dicono salutevole ed io invece soffro, soffro tanto! Se tu sapessi ho scritto al papà, al marchese Piccolini, ma nessuno dei due mi rispose. Mio Dio! Cosa ho fatto perché mi si debba togliere la stima e l’affetto di tutti! Il dottore Signor Angelucci mi dice sempre che gli scritti che crede troppi esagerati, egli non li fa pervenire.
Rina sarà pure così questa mia? Voglio nutrire una dolce speranza. Domani la leggerò questa mia e forse verserò sovressa una lagrima.
Vero? Sono stanca talmente da non poter proseguire. Vi stringo tutti al mio cuore, Aldo, Jolanda, Cora, Rina.
V. Mamma
[Estratto da: Sebastiano Franco Veroli, Donne in manicomio. Le ricoverate a S. Croce nel decennio 1890-1900 – “Il caso di Ernesta Cottino Faccio”, Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea “M. Morbiducci”, Macerata 1998
Scelta dei testi di Patrizia Garofalo ed Elisabetta Andreoli
Fotografia di Elisabetta Andreoli]