Temo che la “congiura degli speculatori” sia in realtà un enorme alibi con cui i governi delle economie più forti, non solo quello italiano, stanno giustificando cure da cavallo ai loro bilanci ed a quelli degli stati partner più deboli. Vi è senza dubbio l'onda anomala degli investitori ed il ruolo delle agenzie di rating nell'orientarne la direzione, ma da qui a parlare di una congrega di super-ricchi che per profitto sta distruggendo le democrazie in cui essi stessi ed i loro cari vivono, credo ce ne corra. Senza questo oscuro nemico però, la scelta di varare manovre lacrime e sangue così frequenti ed ingenti, sarebbe come ammettere il fallimento di un modello di sviluppo vecchio oltre mezzo secolo che, per citare Bianciardi, vede tanta gente correre avanti e indietro sollevando un polverone dentro il quale nascondersi. Una cortina di fumo che confonde le idee di fronte all'involuzione dei sistemi di produzione, non più fondati sul valore-lavoro ma sul valore-aria fritta, consacrata nella così detta terziarizzazione.
Non potendo riscrivere di botto la storia economica, ma sperando che se ne stia progettando la riforma (senza vergognarsi di ammettere errori), sarebbe giusto che il peso dell'improcrastinabile rigore finanziario pubblico, se sui cittadini deve gravare, fosse perlomeno distribuito in base alle loro effettive disponibilità. Con i balzelli a quota fissa ed i ticket, ma in Italia anche con i prelievi proporzionati solo al reddito dichiarato, si aggiunge invece ulteriore ingiustizia ad uno stato delle cose già fortemente iniquo. Bisognerebbe così bilanciare i sacrifici di ciascun nucleo familiare secondo lo stile dei consumi, vera cartina tornasole del tenore di vita, senza limitarsi alle dichiarazioni fiscali. Purtroppo, ogni qual volta si accenni ad incrociare le banche dati dell'Agenzia delle Entrate con quella delle bollette di luce e gas, del registro automobilistico e navale, o con il monitoraggio di proprietà immobiliari e partecipazioni societarie, ogni ipotesi di lavoro viene soffocata da una miriade di problematiche legali e sostanziali. Limiti di norma invalicabili, ma che adesso proprio lo spauracchio speculativo potrebbe permettere di superare.
Questa sarebbe la vera rivoluzione, culturale prima che economica. Sarebbe una scelta però assai onerosa in termini di consenso sociale, erodendone proprio quella fetta decisiva nel legittimare la classe al potere. Per chi varasse una simile riforma, si tratterebbe molto probabilmente di un suicidio politico. Ma sulle ceneri così sparse si potrebbe tentare di costruire qualcosa di buono. Sarebbe, insomma, una scelta di responsabilità.
Marco Lombardi