Gli anni scorsi, nella ricorrenza della “Giornata in Memoria di Srebrenica”, non abbiamo mai dimenticato di ricordare che al Tribunale dell'Aja erano stati consegnati - non senza difficoltà - i mandanti del massacro dell'11 luglio 1995 - Slobodan Milosevic e Radovan Karadzic - ma che mancava ancora l'esecutore materiale, Ratko Mladić. In tutti questi lunghi anni di latitanza del “Boia di Srebrenica” abbiamo sempre sostenuto la necessità, come Non c'è Pace senza Giustizia e Partito Radicale Nonviolento, che il Tribunale Penale Internazionale per l'ex Jugoslavia rimanesse pienamente in funzione finché il Generale non fosse stato tradotto all'Aja per rispondere delle gravissime accuse a suo carico. Credo che agire diversamente sarebbe stato un affronto non solo alla memoria degli oltre 8 mila uomini e ragazzi vittime della strage, ma anche delle milioni di persone che nel mondo hanno perso la vita per atti di violenza ispirati dall'odio etnico. Solamente la determinazione di quanti hanno lavorato per vedere arrivare questo giorno - tra cui ovviamente ricordo la mia amica Carla Del Ponte - ha creato le condizioni affinché la Serbia cooperasse con le strutture del Tribunale e con gli altri Stati dell'ex Repubblica Federale. Dopo tre lustri, questa determinazione è stata finalmente ripagata.
La consegna di Mladić all'Aja segna l'avvio di una nuova e diversa fase di cui non dobbiamo però nasconderci le insidie e le difficoltà. Dopo la profonda soddisfazione per il suo arresto, che rappresenta anche un ulteriore passo avanti nel processo di normalizzazione della ex-Jugoslavia, adesso occorre mettere il Tribunale nelle condizioni - finanziarie ma non solo - di celebrare il processo in maniera giusta ed equa, di far fronte agli eventuali ricorsi e di fare tutto il necessario affinché i parenti delle vittime e i cittadini in generale possano seguire gli sviluppi in sede giudiziaria e avere la percezione che la giustizia stia facendo il suo corso. Solo così avranno il segno tangibile che, alla fine, è la giustizia a prevalere sull'impunità.
Questo è ciò che dobbiamo alla memoria delle migliaia di vittime di Srebrenica, come pure delle innumerevoli altre vittime della violenza e dell'oppressione ovunque nel mondo. I mandati d'arresto spiccati nei confronti di Muammar Gheddafi e Omar al-Bashir da parte della Corte Penale Internazionale - nata, ricordiamolo, proprio nella scia dei Tribunali ad hoc per l'ex-Jugoslavia e per il Ruanda - sono un altro contributo allo sgretolamento della cultura dell'impunità e un monito ulteriore per tutti coloro che intendono macchiarsi di crimini contro l'umanità.
Emma Bonino
Fondatrice dell'associazione Radicale Non c'è Pace senza Giustizia
e Vice Presidente del Senato