E certo non c'è gloria maggiore per l'uomo, fino a che vive, di quella che si procura con le mani e coi piedi.
Omero, Odissea
Più che una squadra. Un'epopea. Granata, il colore. Grande Torino, il nome. Tutti periti nel tragico schianto dell'aereo sulla collina di Superga, al rientro da un'amichevole giocata in Portogallo.
4 maggio 1949, la più funesta delle date del calcio italiano. Annichilita per intero la squadra che, fra le macerie e le rovine conseguenza del devastante conflitto durato sino al 1945, aveva contribuito a restituire agli italiani, non solo ai torinesi, sogni, speranza e gioia, con la forza, la fantasia, il carattere, l'orgoglio, la bellezza del suo gioco. Una macchina perfetta e sentimento puro era quel Torino.
Valentino Mazzola, Rubens Fadini, Franco Ossola, Guglielmo Gabetto, Virgilio Maroso, Mario Rigamonti, Ezio Loik, Danilo Martelli, Eusebio Castigliano, Aldo Ballarin, Dino Ballarin, Romeo Menti, Giuseppe Grezar, Valerio Bacigalupo, Pietro Operto, Émile Bongiorni, Ruggero Grava, Julius Schubert... i calciatori periti. Sull'aereo fatale erano anche i giornalisti Renato Casalbore, Renato Tosatti, Luigi Cavallero, i dirigenti Arnaldo Agnisetta e Ippolito Civalleri, il massaggiatore Ottavio Cortina, i tecnici Ernest Egri Erbstein, Leslie Lievesley e Andrea Bonaiuti. Oltre all'equipaggio composto da Pier Luigi Meroni, il comandante, Cesare Bianciardi, secondo pilota, Celestino D'Inca e Antonio Pangrazi.
Pietro Ferraris II, giocatore storico di quell'équipe, era stato ceduto l'anno prima al Novara. Fu così che si salvò.
Valentino era il capitano: giocatore totale, atleta formidabile, lo trovavi in ogni zona del campo, carisma stellare, nessun punto debole, goleador, colui che si rimboccava le maniche nel famoso “quarto d'ora” che poteva risolvere qualsiasi incerta contesa.
Il suo gemello Loik: assieme a Mazzola regalò una Coppa Italia al Venezia, prima di giungere, sempre in coppia al cassanese, sulle rive del Po.
La tecnica deliziosa di Maroso.
La classe e la versatilità di Castigliano.
Il senso inarrivabile del gol di Gabetto.
Ciascuno era il massimo. Insieme, di più.
Il Grande Torino aveva conquistato i precedenti quattro scudetti. Il quinto sarebbe arrivato postumo.
Il Grande Torino era di tutta l'Italia. Tant'è vero che in una partita della Nazionale vennero schierati dieci giocatori del Toro. Solo il portiere, Sentimenti IV, veniva da altrove. Era l'11 maggio 1947, Italia-Ungheria, al Comunale di Torino. 3-2, con doppietta di Gabetto e gol della vittoria all'88' firmato da Loik. Fra i magiari, che di lì a poco avrebbero costruito una squadra fenomenale e dominato il calcio europeo, giocava già un certo Puskas.
1947-48: in 40 partite il Torino segna 125 reti. Le seconde classificate (Milan, Juventus e Triestina) risultano staccate di ben 16 punti. In casa il ruolino di marcia recita: 19 vinte, 1 pari. Memorabile il 10-0 rifilato all'Alessandria. Gol a grappoli. Non c'era scampo. Anche in trasferta i fuochi d'artificio erano assicurati.
Anche nel 1948-49 al Filadelfia il Grande Torino vince sempre, tranne una volta (pari con la Triestina).
Oggi, anno Domini 2011, il Torino se la passa meno bene. In serie B. Gli auguriamo una pronta rinascita e risalita ai piani alti.
Grande Torino-La Storia a fumetti è un libro bello e toccante. Sceneggiato in maniera sobria ma completa e funzionale, senza rinunciare a momenti lirici, da Paolo Fizzarotti e illustrato con un segno elegante e raffinato, carico a ogni modo dei giusti umori ed evocativo, da Emilio Grasso, il volume è stato pubblicato da Galata Edizioni (pp. 64, euro 12). La riflessione introduttiva è stata affidata a Franco Ossola, figlio dell'ala sinistra del Grande Torino.
Graphic novel a tutti gli effetti, e di gran pregio. Filologicamente accuratissimi i disegni. In monocromia spezzata dal solo granata, sostrato della memoria, potente valenza simbolica («contrasto emotivo prima che cromatico, a trasmettere sensazioni vissute da quanti erano lì, al Filadelfia, mentre il trombettiere Bolmida intonava la carica», scrive l'editore Fabrizio Càlzia).
L'incipit è a Lisbona, 3 maggio 1949, il giorno prima. Poi è l'aereo del ritorno, l'ultimo. Una capsula metallica con le ali, vite sospese. Come i ricordi. Una serie di dialoghi fra compagni e flashback a offrire le vicende dello straordinario gruppo. Martelli che legge i Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese. Il taciturno Romeo Menti, dal potente tiro, perciò detto Cannone silenzioso. Il roccioso Rigamonti, di cui una vola si persero le tracce, forse era andato in Messico. Rigamonti con Bacigalupo e Martelli formava il Trio Nizza. Castigliano dalla “falcata lunga, quasi placida, ma, quando mette la quarta, non lo ferma più nessuno”.
28 aprile 1946: Torino-Roma, dopo 20' è 6-0. All'ultima giornata di quel torneo fu Torino-Pro Livorno 9-1.
Campionato 1947-48, quarta di campionato: a 30' dalla fine la Roma vince 1-0. perderà 1-7! 60' Mazzola 62' Castigliano 64' Mazzola 74' Mazzola 81' Fabian 82' Ferraris II 86' Fabian.
Fuori piove. “Causa maltempo l'aereo non atterrerà a Milano, ma al campo dell'Aeronautica di Torino”.
“È il comandante Meroni che vi parla, Informo i passeggeri che tra pochi minuti atterreremo nella città di Torino”.
La bianca ombra di Superga.
Nebbia, pioggia e lacrime.
La parola fine. Nel fumetto. Nella vita. Invero una fine non è mai stata scritta per quei caduti. Una gloria imperitura è sorta. Nonostante il dolore. Nonostante la nostalgia.
Franco Ossola: «Sessant'anni che non hanno scalfito il ricordo né la commozione. Gli eroi di Superga sono rimasti lassù, ragazzi di sempre e per sempre, con i loro sorrisi stampati sulle cartoline ricordo, a fissare dagli oblò in technicolor quella Basilica che tragicamente aveva giocato a nascondino con le loro vite».
Alberto Figliolia