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In libreria/ Alberto Figliolia. I Centoundici haiku di Matsuo Munefusa
08 Luglio 2011
 

furu ike ya kawazu tobikomu mizu no oto. Ah! L'antico stagno/ si tuffa una rana / rumore d'acqua. Questo è il più famoso haiku di tutti i tempi. Anche se il mio preferito è: natsugusa ya tsuwamonodomo ga yume no ato, ossia Ah! erba d'estate –/ tutto ciò che resta dei sogni/ di tanti guerrieri. Ma amo molto anche il seguente: chichi-haha no shikiri ni koishi kiji no koe, che tradotto suona Mio padre e mia madre/ senza posa penso a loro/ lo strillo del fagiano.

Sono alcuni dei Centoundici haiku che compongono l'omonima raccolta edita da La Vita Felice (giugno 2011, pp. 96, euro 10), autore Matsuo Munefusa, più noto come Bashō (significa banano), nato a Iga Ueno nel 1644 e morto a Osaka nel 1694, poeta e maestro di poesia giapponese negli anni Genroku.

L'haiku consta di tre versi e diciassette sillabe, rispettivamente scandite nella formula 5-7-5 (nelle traduzioni al riguardo si è giocoforza indotti a una maggiore libertà). Tale è la “gabbia formale”. Ma meglio sarebbe definirlo così... «L'haiku nasce alle soglie del vuoto, di questa intuizione subitanea, che illumina la poesia, è l'istante rivelato nella purezza» (dalla introduzione di Peter Otiv Norton, impegnato anche nella veste di curatore; revisione poetica di Elena Pozzi).

Se Bashō era un uomo intriso di cultura classica cinese e giapponese e nutrito di filosofia zen, il segno dominante, ciò che trapela in tutta evidenza dagli haiku che ha creato e consegnato ai contemporanei e all'umanità a venire, è dato dall'immersione nella natura, dalla profonda emozione dai suoi elementi suscitata e dall'empatia con essi, dal fluire dell'umile quotidiano nel quale si cela la segreta bellezza delle cose, «in una mescolanza di banale e caduco e di sublime ed eterno». Illuminazione e meditazione, un sereno viaggio nei giorni assegnatici, e un viaggiatore era Bashō che poteva muoversi e percorrere lunghi itinerari anche solo per ammirare il sorgere dell'alba in un determinato luogo (celebri sono i suoi Diari di viaggio, prose molto stilizzate intervallate da versi, comprendenti le impressioni più varie su incontri, luoghi e natura).

horo-horo to yamabuki chira ka taki no oto. Petalo dopo petalo/ cadono le rose gialle –/ il rumore del torrente. Commovente nella sua semplicità senza fronzoli né orpelli, eppure profondo e complesso: la caducità di un fiore, la fine serena dopo la gloria e il fulgore, e la voce eterna dell'acqua. L’alternarsi, le contraddizioni ricomposte. Il destino dell'uomo nell'alveo sterminato del tempo. Un alito di vento, un soffio che cadrà, il rotolare delle onde che si fanno e si rompono sulle rive del mondo.

yagate shinu keshiki wa miezu semi no koe, vale a dire Prossime a morire/ eppure non il minimo segno –/ grido di cicale.

akebono ya kiri ni uzumaku kane no koe. Si leva il giorno –/ volteggiante nella foschia/ la voce della campana.

auyu no hi ya bajō ni kōru kagebōshi. Ah Sole invernale/ mentre sono a cavallo –/ la mia ombra ghiacciata!

Nel citare gli haiku ci fermiamo qui. Anche perché sarebbe un peccato non comprare questo prezioso volume, di contenuti sublimi e di composizione grafica e fattura altrettanto eccellenti (info: sito Internet www.lavitafelice.it). Gli haiku sono riportati in italiano e giapponese; per quel che concerne quest'ultima lingua, anche nella stesura per ideogrammi. Magnifico da leggere e da vedere.

 

Alberto Figliolia


 
 
 
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