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La liberazione di Milano, un mese dopo 
di Mauro Raimondi
07 Luglio 2011
 

È passato ormai più di un mese, dalla vittoria di Pisapia alle elezioni. E a me, lo confesso, la sbornia non è ancora passata. Davvero. Entro nella mia “nuova” città, e me se slarga el coeur. Mi brillano gli occhi.

Voi non potete immaginare come, da innamorato di Milano, mi sia sentito in questi interminabili 18 anni, la sofferenza che ho provato. I tradizionali valori di solidarietà e accoglienza, stravolti. Il lavoro, da sempre orgoglio di questa città, diventato sfruttamento. Il dialetto, utilizzato come strumento politico. Le Civiche Scuole Serali, un tempo fiore all’occhiello di Milano, mandate ad esaurimento (addio Licei, addio mitico Istituto Cattaneo per ragionieri o per geometri di piazza Vetra).

E poi, il senso etico meneghino, la sua moralità, derisi da uno scandalo dietro l’altro. “Derivati” assegnati a società che hanno creato un enorme buco nel bilancio comunale (e ora chi pagherà, l’ex sindaco che ha affidato gli incarichi?). Assessori costretti a dimettersi per nefandezze varie ed assortite. Falsi manager (in realtà, politici non eletti) pagati profumatamente e messi senza competenza in ruoli chiave, mentre i dipendenti del Comune che per anni avevano dignitosamente assolto a quei compiti, venivano costretti ad andare in pensione. La trasmissione “Report”, nel novembre 2009, dedicò a questa Milano morattiana una puntata da brivido. Cercatela, in rete (oppure accontentatevi dell’articolo che troverete in questa rubrica), e poi ditemi se non c’era da vergognarsi di essere milanesi.

E i parcheggi a fianco della basilica di Sant’Ambrogio? La gloriosa Darsena ridotta a discarica? L’Isola stravolta da grattacieli per ricchi, del tutto fuori contesto? La vecchia Fiera completamente rasa al suolo? Le multe dell’Unione Europea per la mancanza di strategie contro il mortale inquinamento atmosferico?

Diciamocelo, in questi 18 anni, a Milano, è successo di tutto. Eppure, mai una volta che abbiamo sentito i politici al potere scusarsi di qualcosa. Le responsabilità erano sempre di qualcun altro. Del resto, per valutare le persone, bisognerebbe guardarle bene in faccia. E al governo della città, di belle facce, durante queste amministrazioni, se ne sono viste pochissime. Da una parte c’erano gli incazzosi, quelli che se la prendevano sempre con qualcuno: comitati di quartiere, centri sociali, extracomunitari, cacche dei cani. Dall’altra, i “televisivi”: abbronzati, rampanti, sorridenti, sembrava sempre che dovessero venderti un’automobile... Qualcosa, tuttavia, li accomunava: il parlare a slogan, l’essere sempre certi, assolutamente certi, di stare nel giusto, l’indisponibilità a fare passi indietro, la totale mancanza di quella fondamentale nuvola esistenziale che è il dubbio.

Mi sono sentito straniero, a Milano. La città dei miei nonni, dei miei genitori, che ho raccontato in tanti libri, di cui divulgo la Storia, il Cinema. Guardavo il tg3 regionale, e provavo disgusto per l’intollerabile intolleranza, l’ignoranza degli esponenti della destra milanese. Un incubo, che sembrava non dovesse finire mai. Del resto, tutto questo orrore è durato 18 anni, il fascismo, 23: se avesse vinto la Moratti, saremmo stati pari.

E ora? Ora le strade sono sempre piene di buche, gli autobus latitano. Sui vagoni della metropolitana salgono le solite persone che ti chiedono la carità o che storpiano terribilmente brani musicali. Le auto, poi, continuano ad essere le vere padrone della città, anche quando sono parcheggiate disturbano con i loro motori rigorosamente accesi.

Milano, ora, pare la stessa degli ultimi decenni. Ma è solo apparenza. In realtà, i primi passi di Pisapia -abolizione della auto blu, chiusura di un costosissimo e inutile ufficio di rappresentanza per l’Expo a Roma- stanno andando verso una nuova, giusta direzione. Però, non è questo il punto. La vera questione è che, adesso, in città è tornata la Speranza. Ed è un bel ritorno, che leggi negli occhi dei molti che adesso pensano che le cose possano veramente cambiare.

In fondo, basterebbero che la politica ricominci a fare la politica. Il che, significa lavorare seriamente, in silenzio, evitando proclami e comizi televisivi (cosa che a Pisapia riesce benissimo, anche perché, da quando è sindaco, è praticamente sparito dai telegiornali regionali…). Occupandosi, onestamente, del bene pubblico. Della periferia e non solo del centro. Sforzandosi di integrare, non di dividere, per creare senso di identità anche in chi non è di Milano. Di migliorare le condizioni di vita dei meno abbienti, di giovani e anziani. Ascoltando tutti e cercando di trovare dei compromessi. Sostenendo la cultura, evitando di creare “eventi” ma permettendo a tutti di avere gli strumenti per pensare.

I milanesi, da sempre realisti, non vogliono la luna, ma la normalità.

Io sono certo che verranno accontentati.

Dalla città liberata, salùdi.


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