Giovanni Maiolo
Elisewin
Un amore in viaggio
Laruffa Editore, 2010, pagg. 112, € 10,00
“Cosa non darei per il ricordo
di te che m’avessi detto che mi amavi
e di non aver dormito fino all’aurora,
straziato e felice” J.L. Borges
Una storia d’amore «oggi scrivo con amore e per amore. Magari tra un po’ di tempo scriverò con amore e per rabbia».
Ma l’amore è anche un viaggio di Presenze, Assenze, Gioia e Dolore per ritrovarsi o per tratteggiare un sentiero di vita, “i viaggi lasciano sempre dei tracciati” scriveva Kafka e quello di Giovanni si significa in una serie di appunti in forma di romanzo, una guida dell’anima attraverso il mare anche dove il mare non si vede. «Realizzo di essere ormai talmente locrideo da essere così abituato al mare al punto di vederlo ovunque. Da noi, anche in montagna, se guardi dalla parte giusta puoi sorridere allo Jonio». Conosco il Castello di San Fili e da lì più volte ho visto il mare, un mare sempre protagonista in Calabria, sempre custode dei nostri segreti soprattutto d’inverno. Intorno, radure, scoscese brulle, barche abbandonate sulla spiaggia, gli “ossi di seppia” del Sud, miseri resti che Solitudine e Assenza e Memoria «piagano» e le onde consolano, lacrime di legno di quello che resta anche per continuare e ricominciare.
Questo pieno sentire è connotato da astratti personificati con la maiuscola, anche il lettore si avventura nel viaggio di Giovanni pieno di inconsapevoli suggerimenti, di canzoni, nascite e morti, resurrezione ed ammaraggi, di inquietitudine e di ricerca. Giovanni vedrà l’aereo alzarsi, Elisewin partire, certo che di lì a poco sarà chino su fogli e fogli da scrivere per lei, per loro, per l’amore, per il distacco e la speranza del ritorno. «Il sole intanto è quasi andato giù del tutto e tinge il mondo di arancione. Anche Felicità ha negli occhi il riflesso del tramonto». Il dolore dovrà invece essere mediato per essere scritto.
«Il dolore fa scrivere cose profonde, per questo ti dissi che oggi avrei scritto la parte migliore del libro. Sbagliavo.
Perché piango così forte che non riesco a scrivere».
Invece scaturisce un testo il cui lessico formula appieno il dolore dell’abbandono proprio nelle frequenti punteggiature, frasi mozzate dal fiato grosso, dalla necessità di risalita, con ritorni forti e forti trasalimenti ma anche con la forza della vita dove anche la sofferenza è processo di crescita e risanamento dell’io. «Correre. Devo correre. Muovermi. Movimento. Sempre. Crollo. Dolore… Imbarcarmi coi pescatori. Io, loro e il mare… anche tu vedi il mare». Grande compagno di viaggio è Gianluca Bernardo che lo accompagna ovunque con le sue intense canzoni, le parole si aggrappano alla musica quasi i due amici soffrano della stessa pena e dalla sua consapevolezza creassero un circolo d’affetti che caldo ripara, com-prende e salva.
«Perché vedi esistono sguardi/ che non si possono dire con gli occhi/ e ci sono silenzi talmente assordanti/ che in certe sere non li riesci a cantare».
Il migrante troverà i marinai che lo porteranno nel silenzio del mare; tra gli ondivaghi pensieri torna il pensiero di Elisewin, è quasi un sogno inquadrato nella confidenziale pace di una casa mentre la legna arde di calore vero, «quello dei sentimenti, che brucia anche in corpi quasi spenti. Che trascende la fine. Che non conosce la morte». Si percepisce il dolore di non poter abbracciare l’infinito nella coscienza consapevole di essere un coriandolo colorato che durante il viaggio si mescola ad altri coriandoli per proseguire insieme ed insieme vivere e lottare. Forse Giovanni che di sé scrive «sono sempre stato un po’ confuso» ha scritto un romanzo d’amore, forse meglio dire, di vita dove le passioni lasciano il ricordo bello di essere state vissute ed indicano un altro sentiero, una nuova ri-creazione. E da Gianluca leggiamo «ho messo le gambe nel cuore/ e le ho portate via/ ai lati delle nazionali/ le ho portate via/ e il vento andava più forte/ le mani stringevano il cielo/ e tutto sembrava più vivo/ …sul ciglio delle scogliere/ scolpite a poesia/ niente potrà mai spiegare/ la forza di quelle pianure/ il suono di certi violini/ il mare che urlava negli occhi».
Ho volutamente nel mio scrivere chiamato per nome gli scrittori. Migrante anch’io mi sono accompagnata ai coriandoli, confusa tra loro e sono stata accolta. Grazie
Patrizia Garofalo