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Maria G. Di Rienzo. Il mondo chiude un occhio 
(o forse tutti e due)
03 Luglio 2011
 

«Sono stata costretta a lasciare la scuola a 10 anni perché mi hanno data in moglie. Dopo 8 mesi ero divorziata. Vorrei che nessun’altra bambina soffrisse quello che io ho sofferto». Madina, oggi 14enne, Sudan.

 

Ogni anno 10 milioni di bambine vanno spose. Dappertutto, senza che il continente, la cultura, la religione o la classe sociale facciano differenza. Spose di cinque anni, sposi di cinquanta. Bambine violentate per essere reclamate come mogli. Un debito pagato con una bimba di otto anni, una faida familiare risolta con la consegna di una dodicenne.

Se hai rapporti sessuali prematuri, arrivano le fistole se sei fortunata (si fa per dire) e il decesso per emorragia se lo sei meno. Se partorisci a quindici anni, hai cinque volte tanto la probabilità di morire nel processo di una ragazza di venti e tuo figlio ha il 60% di probabilità in più di non arrivare al primo anno d’età. Ma qualcuno mi ha chiesto se c’è davvero bisogno di dire, ancora, che le donne sono esseri umani e che per questo hanno diritti umani.

Si stima che attualmente le bambine-soldato al mondo siano 100.000. In genere rapite fra i 10 ed i 14 anni, si rivelano utilissime: possono portate fucili in spalla di giorno e rallegrare sessualmente interi accampamenti la notte. A differenza dei loro coetanei di sesso maschile, queste ragazzine suscitano poca compassione: se e quando riescono a lasciare le milizie, le loro comunità e famiglie non sono inclini a riaccoglierle, perché portano lo stigma delle violenze che hanno subito e le più grandi hanno magari già un figlio o due a cui non si sa cosa dar da mangiare. «Mio padre non vuole più vedermi perché della gente gli ha detto che i soldati hanno abusato di me» è la testimonianza più frequente.

Molte muoiono di malattie a trasmissione sessuale. Alcune tornano dai gruppi armati perché persino essere schiave è meglio che crepare dell’indifferenza e del piccato sdegno altrui. Altre diventano prostitute in proprio. A 15 anni. Però qualcuno si chiede se c’è davvero necessità di ripetere che le donne sono esseri umani e che per questo hanno diritti umani.

In Afghanistan, ad esempio, il dibattito su quanti e quali diritti hanno le bambine si svolge così: se vanno a scuola si getta loro acido in faccia, gli si bruciano le scuole stesse e si ammazzano i loro insegnanti, uomini e donne che sono così poco rispettosi della loro stessa cultura da far veramente arrabbiare gli intellettuali nostrani (l’ultima vittima in ordine di tempo è Khan Mohammad, preside della scuola femminile Porak nella provincia di Logar, la cui testa è stata fatta esplodere a colpi d’arma da fuoco il 25 maggio 2011. I talebani lo avevano avvisato parecchie volte che alla bambine non si insegna, ma non ha voluto capire). A scuola le bimbe non possono andare, ma a portar bombe sì. Le tradizioni devono evidentemente permetterlo. Solo durante il mese scorso hanno raggiunto le cronache le storie di due bambine-kamizake afgane, rapite alle loro famiglie in miseria, drogate ed imbottite di esplosivo. La prima, nove anni, è stata fermata in tempo; la seconda, otto anni, è stata fatta saltare in aria dagli attentatori il 26 giugno 2011.

In India ci si pensa per tempo. Non solo ne mancano 50 milioni, di questi esseri – le donne – che chissà perché mi ostino a credere umane e perciò portatrici di diritti umani, ma quelle restanti sono ancora troppe: i genitori le convertono in “maschi” con una plastica ai genitali. È un’industria fiorente ed in piena espansione, le famiglie si indebitano pur di pagare i 2 o 3mila euro per l’operazione. Una mezza dozzina di chirurghi dalla faccia di bronzo hanno dichiarato pubblicamente di aver “trasformato” ciascuno centinaia di bambine ogni anno (spesso si tratta di bambine di dodici mesi o poco più). A queste infanti viene costruito un “pene” usando i tessuti dei loro organi genitali, dopo di che gli si danno dei bei biberon di ormoni. Non potranno generare, avranno problemi di salute per tutta la vita, sono state derubate della loro stessa identità, ma chi se ne frega, almeno non sono femmine.

Ogni giorno sui giornali italiani spuntano i trafiletti che narrano di bambine e ragazzine violate, umiliate, picchiate, molte volte da ragazzi poco più grandi di loro: spuntano un giorno e spariscono il giorno dopo. Forse per rispetto alla nostra cultura. O forse perché qualcuno potrebbe chiedersi se è lecito trattare così degli esseri umani. Ma c’è proprio ancora bisogno di arrecare disturbo ripetendo che le donne fanno parte della specie umana? È così evidente che non è vero.

 

Maria G. Di Rienzo

(da Lunanuvola's Blog, 1° luglio 2011)

 

 

Fonti: The Guardian, rapporto 2011 “Breaking Vows” dell’ong Plan UK, India Times, Hindustan Times, National Geographic, Institute for War & Peace Reporting, UN Women


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