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Franz Krauspenhaar. La passione del calcio
02 Luglio 2011
 

Franz Krauspenhaar

La passione del calcio

Perdisapop, pagg.155, € 10,00

 

Arrembaggi”, la collana diretta da Antonio Paolacci, aggiunge un nuovo titolo di valore dopo Niente da capire di Luigi Bernardi.

La passione del calcio non è un romanzo autobiografico come recita il sottotitolo, ma un contenitore di sensazioni e ricordi legati al mondo del calcio e a una passione che - come tutte le passioni - finisce per sfiorire. Franz Krauspenhaar è scrittore navigato, nato nel 1960, ha pubblicato Era mio padre (Fazi), scrive poesia (si sente dallo stile elegiaco della sua prosa), ma ha il dono non comune di un periodare sciolto che riesce a coinvolgere. I ricordi del calcio servono per compiere un viaggio a ritroso nella memoria, nei sogni in bianco e nero, per un tuffo nell’infanzia di una generazione che pensava di restare eternamente bambina. Negli anni Settanta non eravamo consapevoli che saremmo dovuti diventare grandi, capitava di pensare al futuro solo quando guardavamo i Pronipoti alla televisione e in ogni caso il futuro erano i nostri genitori. Il presente, invece, era un pallone Super Tele da rincorrere in un piazzale sterrato, sognando i nostri eroi della domenica in un campo di calcio.

Krauspenhaar racconta le passioni della nostra generazione - pure chi scrive è nato nel 1960 e ha tifato Inter - che si sono stemperate con il passare degli anni, ma riesce a spalancare lo scrigno magico dei ricordi. Gigi Riva-Rombo di Tuono fedele a una sola squadra, l’abatino Gianni Rivera e il Milan che rivaleggia con l’Inter di Sandro Mazzola, il giornalismo sportivo colto di Gianni Brera, l’estro ineguagliabile di Maradona che fa sognare Napoli. L’autore racconta le disfatte del passato (Corea) e del presente (Sudafrica), gli allenatori antipatici (Sacchi, Lippi, Capello) e le figure simpatiche (Rosato, Sarti), i calciatori prima che diventassero bambini viziati a caccia di veline. Sembra d’essere finiti in un libro di Giovanni Arpino, non ti spieghi come sia possibile con questi chiari di luna editoriali che qualcuno pubblichi ancora letteratura. La squadra del cuore è come l’amante fissa della domenica, mentre la squadra odiata - nel caso dell’autore, ma pure nel caso di chi scrive, la Juventus - è una vecchia bagascia. Noi ragazzini innamorati di calcio parlavamo per ore dei campioni preferiti, li mitizzavamo, li rendevamo immortali e quante volte abbiamo detto “è vecchio” di un calciatore che aveva poco più di trent’anni. Un bambino di dieci anni pensava a un adulto di trenta e lo vedeva come un uomo talmente più grande di lui da considerarlo vecchio. Passa il tempo, le passioni svaniscono, come tutto si perde nella vita, non c’è niente di eterno. La passione per il calcio muore, lanciata a pezzi minuscoli contro il vento del disincanto. L’intuizione più geniale dell’autore è quella di vedere il calcio come parafrasi della vita, ché in realtà il calcio è una cosa stupida, insensata, ma proprio per questo rappresenta bene la follia che è sostanza stessa del nostro mondo. Il calcio stabilisce entro poche regole l’ineluttabile ma anche l’imprevedibile. Stabilisce vita e morte, agonia e follia, piacere e dolore, morte e resurrezione.

Termino il romanzo con un senso di smarrimento, la stessa mancanza che provavo quando finiva una partita attesa, un vuoto interiore che l’assenza di calcio non mi fa più provare. Le passioni lasciano il posto ad altre passioni. L’amore per la letteratura ha spodestato il calcio e quando m’imbatto in piccoli gioielli come questo mi dico che ne valeva la pena. L’importante nella vita è navigare e questo libro che mi rigiro tra le mani e non voglio abbandonare mi ha fatto ripercorrere - con qualche lacrima di nostalgia - cinquant’anni della mia vita.

 

Gordiano Lupi


 
 
 
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