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Gianfranco Cercone. “Corpo celeste” di Alice Rohrwacher: un film anticlericale
30 Giugno 2011
 

Tra i film estivi – se ne contano molti italiani, che non si è evidentemente voluto o potuto distribuire in modo più proporzionato durante tutto il corso della stagione cinematografica – ci sono alcuni titoli apparentemente deboli, che sembrerebbero destinati a essere spazzati via dalla programmazione nel giro di una o due settimane, e che invece si rivelano inaspettatamente resistenti: grazie al successo di critica, ma forse ancora di più, grazie al passaparola tra gli spettatori.

Corpo celeste è uno di questi. È l’opera prima di una giovane regista cinematografica – Alice Rorhwacher (sorella di un’attrice di talento già nota); non vi recitano attori di “cassetta”; è un film povero; e non è nemmeno un film che vuol far ridere. Ma è un film incisivo, perfino acuminato, fatto da qualcuno che ha davvero qualcosa da dire e che ha il coraggio di dirla fino in fondo.

L’azione si svolge a Reggio Calabria, dove un gruppo di ragazze e di ragazzi segue il tradizionale corso di catechismo per prepararsi alla Cresima. Tale corso – tenuto da una signora che fa da “perpetua” al parroco – ha due caratteristiche contraddittorie, che stridono penosamente tra loro. Da una parte - per mostrarsi moderno, aggiornato – adotta il linguaggio della televisione, per esempio quello delle più popolari trasmissioni dei quiz a premio. Dall’altra, il contenuto è decrepito e del tutto privo di autentica religiosità.

Basti dire – ma è solo un esempio – che quando i ragazzi del corso - abituati al crocifisso “astratto” della loro chiesa, composto di tubi fluorescenti - sghignazzano su un antico crocifisso che dovrà essere esposto il giorno della Cresima, nel quale, come vuole la tradizione, Cristo è raffigurato nudo, la loro insegnante, per metterli a tacere, non trova di meglio che asserire che il corpo di Cristo non è simile a quello di tutti gli uomini: perché il suo è un “corpo celeste”.

Tale insegnamento, d’altra parte, sembra estraneo agli interessi “reali” di tutti i personaggi del film. Ciò che sta segretamente a cuore alla perpetua, è il parroco, di cui teme il trasferimento in un’altra parrocchia. Al parroco preme far carriera nella Chiesa, e a tal fine cerca di convogliare i voti dei parrocchiani verso un certo candidato alle elezioni locali.

Alle famiglie dei cresimandi, poi, più che il Sacramento, sembra importare il proprio buon nome e il quieto vivere. Ciò che comporta conformismo e obbedienza, anche alla parrocchia.

Beninteso: un film dalle caratteristiche così descritte, potrebbe confortare le opinioni di chi crede che la Chiesa, almeno in certe sue zone, ha dimenticato e tradito la parola di Cristo; ma potrebbe anche essere un brutto film.

Se invece Corpo celeste è un buon film, è perché il quadro d’ambiente che ci presenta è sempre credibile, sfumato, senza forzature ideologiche. Sembra il frutto di un’attenta, spregiudicata, osservazione della realtà.

Si consideri per esempio il gruppo di giovani che frequenta il corso per la Cresima, accortamente descritto come diviso tra apatia, forzata acquiescenza, e momenti di irrisione in cui si sfoga il disprezzo. O più ancora, in quel gruppo, la ragazza che è la vera protagonista del film.

Nei suoi confronti, la macchina da presa della regista è particolarmente sensibile. Perché nel volto e nel comportamento di una giovane introversa, sprovvista quindi di una clamorosa espressività, riesce a snidare un percorso interiore che la porta, vincendo alcune resistenze, a un’intelligente rivolta contro la cultura che la circonda. Una rivolta che non è senz’altro irreligiosa, perché la ragazza è pure disposta a lasciarsi affascinare da un’immagine di Cristo meno edulcorata, meno sterile, che contiene il fuoco della rabbia e il dolore della solitudine.

Un percorso che però rischia di farne agli occhi dei concittadini, una pericola diversa, da segnare a dito.

 

Gianfranco Cercone

(da Notizie Radicali, 30 giugno 2011)


 
 
 
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