Lo stato della scuola italiana è, in molti casi purtroppo, pre-agonico se non oramai conclamatamente comatoso. C'è, nello smantellamento dell'offerta pubblica, il dispiegarsi di un disegno che dà corso ad una deliberata volontà politica: se tra il 2007 e l'anno corrente sono andati a regime 7,8 miliardi di euro in tagli sistematici (ossia “orizzontali”, fatti con una falce che non ha guardato in volto nessuno) se ne preannunciano altri nel prossimo triennio, e fino al 2014, per un totale di almeno 4 miliardi aggiuntivi. Di fatto la scuole pubblica è stata “chemioterapeutizzata”, con l'aggravante che si uccidono tutte le cellule, e quindi il malato, facendo semplicemente il vuoto intorno a sé.
È sorprendente il riscontrare come nel nostro paese ciò avvenga nella sostanziale indifferenza degli stessi “utenti”, a partire dalle famiglie che, pur reclamandola, non hanno mai nutrito particolare considerazione per l'istruzione e, più in generale, l'educazione, scarsamente intese come un bene pubblico da tutelare e da sviluppare. Istruzione, educazione e formazione che sono state, tra gli anni Sessanta e Novanta, con tutti i limiti del caso, una delle migliori risposte alle domande di cambiamento. Insieme alla sanità che - ne sono certo, poiché se a pensar male si fa peccato tuttavia ci si azzecca - entro il 2014, qualora il trend continui ad essere questo, subirà una aggressione non meno violenta. Diranno che non si può fare altrimenti, in vista di quei 55 miliardi che vanno a loro volta tagliati per stare nei “parametri europei”, eccetera eccetera. Lo stato dell'arte ci dice che siamo tornati al 1992, ai tempi del governo Amato, con l'aggravante che adesso l'Italia è molto più fragile, reclinata e ripiegata su di sé, ovvero indebolita e inerte.
Le considerazioni di Marina Moncelsi sono (purtroppo!) puntuali e sottoscrivibili ma se il paese ha “scelto” di non occuparsi del proprio destino e dei propri giovani, disinvestendo sul presente come sul futuro, non vedo come si possa ovviare alla distruzione dell'offerta pubblica. Il girare per aule scolastiche sta divenendo sempre di più un pellegrinaggio tra i luoghi di un feroce bombardamento, con l'aggravante, a rigore di metafora, che la popolazione scolastica per eccellenza, ossia gli studenti, pare spesso estranea a ciò che si vede di anno in anno togliere attraverso le misure di restrizione che cadono come delle bombe sulla testa degli ignavi. D'altro canto le manifestazioni di dissenso, che pur ci sono state copiosamente negli ultimi tre anni scolastici, hanno sortito scarsa attenzione tra coloro che non fossero “addetti al mestiere”: molti hanno pensato che gli studenti “fanno casino” d'abitudine, senza cogliere le sincere inquietudini che hanno accompagnato i cortei. I docenti, notoriamente “comunisti” (laddove vale l'equivalenza tra servizio pubblico e collettivismo) stanno subendo l'aggressione sistematica con le poche risorse che hanno a disposizione. Con un indice di invecchiamento, per via della mancata immissione in ruolo delle coorti generazionali meno anziane, che si traduce poi anche in “senilità culturale”. Non saranno quindi loro a cambiare un andazzo collettivo, a meno che non ci si voglia bellamente illudere sulla forza di una categoria che, di giorno in giorno, si confronta non solo con le restrizioni lievitanti ma anche con la perdita di status sempre più evidente.
C'è una ideologia dietro quanto sta avvenendo, di cui l'attuale maggioranza di governo è portatrice ma che ha pervaso anche segmenti dell'opposizione e che dice che è ora di disinvestire poiché “talenti e meriti” si fanno valere nei marosi e tra i flutti del “mercato”: nulla di meno, nulla di più. Si tratta di una meschina menzogna ma è da trent'anni che questa partitura viene suonata in pubblico, raccogliendo plaudenti e festanti assensi... La sua saldatura con una crisi economica e finanziaria strutturale, destinata a fare sentire i suoi contraccolpi anche nei tempi a venire, sta portando indietro l'intera Italia di molti decenni, se non più.
Claudio Vercelli