La prossima scadenza referendaria ci offre l'occasione per tornare a discutere su un tema: acqua pubblica o privata? Il principio di considerare l'acqua un bene comune è ampiamente condiviso. Dobbiamo porci il problema se una gestione pubblica sia efficiente per amministrare questo bene comune. La cosiddetta legge Galli nasceva con l'obiettivo di smantellare una vecchia logica clientelare di gestione degli acquedotti che erano diventati carrozzoni partitocratrici clientelari. Negli anni è stata applicata con modalità che hanno tradito in parte l'obiettivo. La protesta, che nasce in alcune parti d'Italia riguarda il fatto che dove c'è stata una forte privatizzazione si è avuto un aumento delle bollette e scarsi investimenti. In pratica c'è stata una privatizzazione all'italiana. Il massimo vantaggio per il privato e il minimo per il consumatore e l'utenza. C'è chi sostiene che l'acqua deve essere gestita solo da aziende totalmente pubbliche e che deve essere eliminata la possibilità di ricorso anche alle Spa pubbliche. È evidente che le liberalizzazioni fanno bene all'economia e aumentano il benessere dei cittadini-consumatori. Ciò è confermato proprio dall'Antitrust che ha rilevato come nelle regioni più aperte alla concorrenza l'aumento dei prezzi è stato inferiore a quelle che hanno una regolamentazione più rigida.
Il modello della proprietà pubblica della risorsa e della gestione privata, che consenta di avere la priorità del servizio sul profitto, non ha avuto grande successo. Dobbiamo quindi ripensare il modello di gestione e soprattutto dobbiamo ripensarne agli usi. L'81% viene utilizzata per usi irrigui (agricoltura), industriali ed energetici e solo la parte restante per usi civili, dei quali pochissimi per uso potabile. Anche i prezzi devono essere bassi per l'uso civile e più alti per le restanti attività. Posto che l'uso dell'acqua deve essere garantito, controllato e indirizzato dal potere pubblico, resta il problema del “come fare” e, contestualmente, assicurare efficienza. Abbiamo assistito a carrozzoni che hanno fatto la fortuna di alcuni e, guarda caso, il disastro dei bilanci della collettività, che si pagano in termini di aumento della spesa pubblica. Il pericolo è che se passa il principio che anche la gestione dell'acqua torni pubblica si rischia di affermare un sistema non competitivo. Occorre quindi che il gestore pubblico sappia che nel momento in cui produce disavanzi c'è un altro sistema pronto a sostituirlo. Insomma dalla gestione totalmente pubblica, clientelare, o da quella delle Spa, con la proliferazione dei consigli di amministrazione, ad un nuovo modello non privatizzato ma liberalizzato.
Primo Mastrantoni, segretario Aduc