Mario Draghi ha fatto della crescita il punto fermo del suo mandato. In questi anni alla guida di Bankitalia, il governatore con grande indipendenza ha esortato a combattere il declino invitando la politica miope ad avviare seriamente una stagione di riforme per far uscire il Paese dalla sofferenza.
I suoi appelli mirati al contenimento della spesa pubblica, alla diminuzione delle aliquote su lavoro e imprese sono stati inascoltati.
Anche ieri nelle Considerazioni finali all’assemblea di Banca d’Italia, Draghi ha voluto congedarsi – visto che presto guiderà la Bce – rilanciando la sua sfida. Il governatore uscente ha ribadito l’importanza di “tornare alla crescita” e ancora una volta si è rivolto al mondo politico citando Cavour: «le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l’autorità la rafforzano».
Draghi, parlando della necessità di avviare una politica economica che contenga le spese senza creare nuove imposte, ha avanzato una serie di proposte per crescere. L’efficienza della giustizia civile, il sistema dell’istruzione, la concorrenza, il mercato del lavoro e gli investimenti nelle infrastrutture.
Sono queste le priorità riformatrici alla quale deve guardare la politica, altrimenti sarà davvero difficile mettere un freno al declino che avanza e che fa dell’Italia un Paese in notevole ritardo.
Draghi ha ricordato che nel suo primo intervento da Governatore, nel marzo del 2006, pose l’accento sulla necessità di uscire dall’«economia insabbiata». Citando le «inutilità delle prediche» di Luigi Einaudi, il Governatore, constatando la scarsa produttività e la perdita progressiva di competitività, ha affermato che «poco da allora è stato fatto».
Gli interessi corporativi che in più modi opprimono il Paese non sono stati sconfitti.
L’auspicato ritorno alla crescita ha caratterizzato il mandato di Draghi. Purtroppo questo non c’è stato. Il suo appello è stato disatteso da una politica incapace di tradurre le analisi in leggi.
Quale paese lasceremo ai nostri figli? Si chiede preoccupato Mario Draghi a distanza di cinque anni, quando niente di tutto quello che ha proposto si è tradotto in realtà.
Le sue preoccupazioni sono anche le nostre. Evidentemente perché non sono le stesse della classe politica che invece della crescita ogni giorno scommette sulla conservazione dello status quo.
E alla politica italiana non piacciono i governatori di Bankitalia che in piena autonomia affermano che «la risposta alla crisi sta nelle politiche nazionali» e avanzano proposte concrete per salvare l’Italia, lavorando esclusivamente per il bene comune.
Nicola Vacca