La notizia che giunge dalla Corte di Cassazione con la decisione che conferma anche il referendum sul nucleare tra quelli sui quali i cittadini sono chiamati a votare il 12 e 13 giugno, ci offre l'occasione per proporvi questo contributo di Gino Songini, ancora inedito sul web, dal numero di aprile del Gazetin.
Chi scrive ha già avuto modo di dire la sua intorno alla questione del nucleare (vedi Gazetin dell'agosto 2009) e, senza la presunzione di avere in tasca la verità rivelata, si è espresso con chiarezza al riguardo. Quanto successo in Giappone altro non ha fatto che rafforzare la sua convinzione antinucleare.
Si dice e si ripete che tale questione non va affrontata sull'emotività del momento, ma che occorre ponderarla sulla base di dati tecnici e scientifici oggettivamente valutati. Bene. Per quanto mi riguarda mi sono espresso sull'argomento in tempi non sospetti, quando dal disastro di Chernobyl già erano trascorsi più di venti anni e quando della centrale atomica di Fukushima nemmeno si sapeva l'esistenza. Detto questo mi chiedo: ma che cosa mai vuol dire che “la questione non va affrontata sull'emotività del momento”? Che dobbiamo chiudere gli occhi davanti a ciò che vediamo? Che non dobbiamo farci carico del dolore delle vittime? Che non dobbiamo temere per il destino di tanti esseri umani segnati per la vita dalle contaminazioni dell'ambiente, terra, acqua, aria, nel quale si sono trovati a vivere? Scusate, ma personalmente non riesco proprio a capire perché non dovrei giudicare “sull'emotività del momento”. Se io vivo in un mondo che per un poco appartiene anche a me, avrò pure diritto di dire la mia su quanto avviene. Del resto non mi pare questione di emotività vedere e riflettere su quel che è successo, su come cioè si sia sfiorata una catastrofe di inimmaginabile portata. Chiediamoci: dove ci sta portando l'atomo? Non stiamo forse correndo su di un puledro selvaggio che non sappiamo dove ci condurrà? Cavalcare un cavallo niente affatto domato come quello della fissione nucleare non mi pare garanzia di un viaggio sicuro.
Se dal lontano Giappone ci trasferiamo da noi, sentiamo dire che sì, è pur vero che l'Italia è sismica, ma non ha terremoti e tsunami della forza di quelli giapponesi. Basterebbe rispondere che neppure i giapponesi si aspettavano un terremoto e uno tsunami come quelli dell'11 marzo, ma purtroppo questo non ha impedito che si verificassero. D'altronde anche da noi la natura non scherza. Nel secolo passato, senza andare più indietro (o più avanti: vedi L'Aquila), abbiamo avuto terremoti devastanti ed eruzioni vulcaniche, senza contare le frane, le alluvioni, la diga di Stava, la catastrofe del Vajont e chi più ne ha più ne metta. E su un territorio come il nostro vorremmo costruire le centrali nucleari? Dio ce ne scampi.
Non si può inoltre fare a meno di considerare come da noi, e anche questo purtroppo è un dato oggettivo, gli appalti miliardari vengano spesso e volentieri affidati a società e imprese colluse con la criminalità organizzata. Con quali garanzie per la qualità del lavoro e la sicurezza degli impianti lo lascio giudicare al lettore. In Italia mafia, camorra e 'ndrangheta dettano legge in intere regioni e nulla vieta di pensare che i miliardi di euro che ruotano intorno al nucleare finiscano nelle loro tasche. Tanto le conseguenze del malaffare le pagano gli onesti cittadini di questo sfortunato paese.
C'è poi chi sostiene che in fondo, da quando si è cominciato a sfruttare l'energia nucleare, gli incidenti non sono stati neanche troppo numerosi e il numero delle vittime contenuto, almeno se rapportato ad altri eventi calamitosi come gli incidenti stradali e non, o le diverse catastrofi che ciclicamente colpiscono il pianeta. Può essere che questo sia vero ma è fin troppo facile rispondere che purtroppo le conseguenze di un disastro nucleare si potranno valutare soltanto nel tempo, e in un arco di tempo tanto lungo da impedire un giudizio statistico immediato. Insomma il nucleare è una brutta bestia e le soglie di garanzia possono sempre essere superate con effetti che non sono mai, per loro natura, una tantum. Basti pensare alle scorie radioattive che continueranno a produrre i loro effetti per centomila anni! E non dimentichiamo che già esistono i Italia depositi di tali scorie che non si sa dove esattamente siano ubicati (nelle pianure? tra le colline? sulle coste?) ma che purtroppo ci sono. Insomma non c'è da stare allegri.
Ma una delle più strampalate ragioni addotte dai sostenitori del nucleare, quella che a mio avviso proprio non regge, è quella che tanto già esistono centrali atomiche ai nostri confini, in Francia, in Svizzera e in Slovenia. E allora? A me pare semplice rispondere a questa bizzarra tesi e vorrei questa volta farlo secondo un metodo dialettico antico, che però mi sembra sempre efficace. Proviamo cioè a considerare se il nucleare sia cosa buona o cattiva. Se è cosa buona ben venga: si costruiscano centrali atomiche non solo in Francia e in Svizzera, ma anche nella nostra penisola e sulle isole, nella Pianura padana e in Maremma, e magari anche in Valtellina o in Valchiavenna. Se invece il nucleare è cosa cattiva, cioè pericolosa e incontrollabile, per quale ragione dovremmo costruire gli impianti vicino a noi? Perché l'hanno fatto svizzeri e francesi? Sarebbe come dire che poiché c'è la mafia a Palermo (...e a Milano), tanto vale importarla anche in Valmalenco e in Valgerola. Una associazione criminale in più o una in meno cosa possono cambiare? Una centrale nucleare in più o una in meno cosa possono cambiare? Mi pare proprio che questo ragionamento faccia acqua da tutte le parti. Del resto sappiamo bene che un incidente nucleare a trecento chilometri di distanza può ancora consentire qualche speranza di salvezza, mentre un incidente di quella natura sulla porta di casa ci farebbe pentire di essere venuti al mondo. Mi rendo conto che anche questo modo di ragionare sottintende un aspetto egoistico da respingere e allora meglio essere chiari una volta per tutte come è chiaro il famoso slogan: Nucleare? No, grazie. Impariamo piuttosto a sprecare di meno, che ce ne sarebbe bisogno. Investiamo, ma seriamente, sulle energie alternative. E non dimentichiamo comunque che lo sviluppo economico e tecnico non sempre va di pari passo con lo sviluppo civile della società. Non possiamo diventare schiavi delle nostre scoperte e delle nostre paure, ma dobbiamo insieme costruire un mondo che guardi all'avvenire con gli occhi della speranza. Quindi niente barre che rimangono radioattive per centomila anni! Niente scorie nucleari. Niente centrali atomiche.
Nel referendum del 12-13 giugno potremo dire la nostra al riguardo anche se il governo (un governo sempre più a immagine del suo premier, un governo che punta sui trucchi, sulle apparenze, sui sondaggi, sempre più un governo del bunga-bunga) ha furbescamente parlato di una moratoria di un anno al fine di boicottare il voto su nucleare, privatizzazione dell'acqua e legittimo impedimento, e in attesa che quanto avvenuto in Giappone venga dimenticato. Tutto questo mentre la cancelliera tedesca signora Merkel, antica sostenitrice del nucleare, dichiara che la Germania dovrà abbandonare, e abbandonare al più presto, la strada dell'atomo.
Per chiudere vorrei ricordare ai lettori i tre più gravi incidenti nucleari conosciuti:
- Three Mile Island (USA, 1979);
- Chernobyl (ex URSS, 1986);
- Fukushima (Giappone, 2011);
incidenti che, oltre ai danni e alle vittime, per poco non hanno causato catastrofi di dimensioni planetarie. Non ci hanno insegnato niente? Sappiamo che altri incidenti sono avvenuti in altri paesi anche se quei governi hanno rigorosamente taciuto. Non ci basta tutto questo? O vogliamo che si realizzi ciò che è stato immaginato da un grande poeta come Torquato Tasso (1544 - 1595), per certi aspetti visionario e profetico, quando ci descrive un mondo ridotto a «immense solitudini di arene»?
Gino Songini
(da 'l Gazetin, aprile 2011)