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I funerali di Petter e un documento da lui raccomandato 
“Per una Pedagogia della Costituzione e della Resistenza”
26 Maggio 2011
 

L’ANPI di Padova piange Guido Petter, partigiano, scienziato, docente, uomo sempre libero e giovane.

Lo ricordiamo come amico, compagno e maestro.

Il saluto e l'alzabara nel cortile antico del Bò (Università di Padova) venerdì 27 maggio alle ore 10. I funerali alle ore 11 presso la Basilica del Duomo. Martedì 5 aprile Guido Petter, partigiano della brigata Garibaldi “Rocco” in val d'Ossola, ci aveva intrattenuto in sala Anziani di palazzo Moroni (Municipio di Padova) in un Convegno con la partecipazione di Luigi Fiori, classe 1920, comandante partigiano della brigata Vampa in val di Taro e con Giuliano Lenci, presidente dell'Istituto veneto per la storia della resistenza. Dopo l'applauditissima lezione aveva preso l'indirizzo di posta elettronica di tutti quelli che richiedevano i suoi appunti, raccomandando la lettura di un documento dell’Istituto Pedagogico della Resistenza, di Milano “Per una Pedagogia della Costituzione e della Resistenza”. Documento che puntualmente qualche giorno dopo mi è stato recapitato da lui e da Angela Persici «con l'invito alla lettura e a trasmetterlo anche a persone che considerate sensibili ai temi in esso trattati».

È quello che trovate in allegato. In calce una breve nota di A. Persici con altri ricordi e la descrizione dell'immagine di Guido che ci regala.

 

 

Documento elaborato dall’Istituto Pedagogico della Resistenza di Milano e presentato al Convegno sul tema “Per una Pedagogia della Costituzione e della Resistenza” svoltosi alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Milano “Bicocca” il 23 febbraio 2011.

 

UNA PEDAGOGIA DELLA COSTITUZIONE

E DELLA RESISTENZA

 

 

È possibile oggi, con riferimento al problema di un pieno adeguamento della nostra scuola ai suoi fondamentali compiti educativi, parlare di una Pedagogia della Costituzione e della Resistenza? La risposta a questa domanda ci sembra debba essere senz’altro positiva, e ciò per almeno due ragioni: una di carattere generale e storico, l’altra di carattere più contingente.

 

1.

 

La prima si fonda sulla considerazione che la Resistenza non può essere intesa solo come un evento storico limitato agli ultimi due anni della guerra mondiale, ma anche e soprattutto, come un modo etico (e quindi perenne) di porsi di fronte alle situazioni e agli eventi di rilevanza sociale e politica. È quel modo di porsi che era già stato assunto da chi aveva continuato a opporsi attivamente al Fascismo anche dopo la sua conquista del potere, e che ha caratterizzato poi i protagonisti della Resistenza armata. Esso costituisce una preziosa eredità della lotta antifascista per tutti noi, e in particolare per le giovani generazioni. È in questo senso profondo, infatti, che va intesa l’espressione propostaci da Piero Calamandrei: “Ora e sempre Resistenza”.

Questo modo di porsi di fronte alla realtà sociale e politica si qualifica sia per i valori e gli obiettivi che lo ispirano, sia poi per le modalità del lavoro e della lotta da mettere in atto per difenderli e dare ad essi una piena attuazione.

a) I valori e gli obiettivi, anzitutto. Essi sono quelli che hanno animato la Resistenza e hanno poi trovato un loro riconoscimento nella Premessa della nostra Costituzione. Il valore della libertà, nelle sue varie forme (e pertanto anche l’obiettivo di garantirla a tutti); il valore dell’uguaglianza, sul piano dei diritti e dei doveri, fra i cittadini e fra i popoli, al di là delle differenze di religione, o di etnia, o sessuali, o sociali, unito al rispetto e alla valorizzazione delle diversità culturali intese come motivo di arricchimento; il valore rappresentato dal pieno sviluppo delle potenzialità esistenti in ciascun individuo, possibile solo se vengono garantite pari opportunità di partenza e viene poi anche offerto l’aiuto che si rendesse necessario; il valore della solidarietà, intesa sia come condivisione fra tutti degli obblighi che derivano dall’appartenenza a una società organizzata, sia come sostegno ai più deboli; il valore del lavoro, considerato come dovere e come diritto; il valore della partecipazione democratica alla vita della comunità; il valore della non-violenza fra i cittadini o i gruppi sociali e politici, e della pace fra i popoli.

È chiaro che una pedagogia che si ispiri ai valori ora richiamati (e ai corrispondenti obiettivi di difesa e realizzazione) può essere definita anche come una “pedagogia della Costituzione”. Che cosa si può aggiungere a tali valori, rendendo così preferibile parlare anche di una “pedagogia della Resistenza”? Sono, appunto, le modalità dell’attività che va dispiegata per affermarli o difenderli.

b) Consideriamo tali modalità. Di esse la Costituzione non parla, mentre sono invece chiaramente deducibili dalle caratteristiche che ha assunto la lotta antifascista, sia nel periodo che ha preceduto la Resistenza armata sia nel corso di quest’ultima. Esse si fondano su tre atteggiamenti di base, che furono presenti allora in coloro che presero parte agli eventi resistenziali di quei tempi, ma possono essere presenti anche oggi in ciascuno di noi in quanto cittadini, e dovrebbero in particolare venire sviluppati e coltivati nei bambini, nei ragazzi, negli adolescenti che crescono nella nostra scuola.

- Il primo è un atteggiamento di costante attenzione a ciò che accade sia nell’ambiente vicino sia nel più vasto mondo, accompagnato dalla capacità di indignarsi ogni volta che dei valori vengono violati, negati, calpestati, ogni volta che viene compiuta un’ingiustizia o una sopraffazione, anche quando tali violazioni o ingiustizie non colpiscono direttamente noi o le persone che ci sono vicine. È implicito che la capacità di indignarsi presuppone la capacità di individuare anche atteggiamenti, provvedimenti e azioni che nascondono in modo subdolo ingiustizie e sopraffazioni. Al tempo dell’ascesa del Fascismo, gli antifascisti seppero assumere, e in forma non solo temporanea, un tale atteggiamento di indignazione nei confronti delle violenze squadriste, delle leggi liberticide, della cialtroneria in campo educativo e culturale, delle discriminazioni razziali, dell’esaltazione della guerra; al tempo della Resistenza i partigiani manifestarono lo stesso atteggiamento nei confronti del comportamento del Re fuggiasco, della tracotanza manifestata dalle truppe tedesche occupanti e dalle formazioni fasciste, delle deportazioni, delle rappresaglie e degli eccidi che caratterizzarono la vita quotidiana di quei terribili mesi.

- A questo primo atteggiamento si deve però accompagnare anche un atteggiamento di iniziativa, consistente nell’individuare e nel mettere in atto azioni volte a eliminare le situazioni ingiuste e violente che hanno suscitato l’indignazione. Anche questo atteggiamento fu costantemente presente durante la Resistenza: i partigiani non attesero una cartolinaprecetto per prendere la via delle montagne; e fu la capacità di iniziativa che permise loro di trovare le armi di cui avevano bisogno, di ottenere il sostegno della popolazione, di organizzarsi in brigate, di elaborare strategie e tecniche adatte alla guerriglia, di liberare dei territori e di promuovervi la nascita di amministrazioni democratiche.

- E vi è poi un terzo atteggiamento, che completa i primi due. È quello consistente nel non cedere mai di fronte agli eventuali insuccessi ai quali si può andare incontro con le iniziative intraprese, o di fronte alle controazioni poste in atto dai responsabili delle ingiustizie o dei soprusi ai quali ci si sta opponendo, e nel continuare invece a operare con costanza, pur se in modi diversi, anche quando tutto sembra andare per il verso sbagliato, per modificare la situazione e creare le premesse per un futuro successo. Pure questo insegnamento ci viene dalla Resistenza. Ricordiamo, ad esempio, che anche nel periodo del fascismo ormai trionfante molti antifascisti, nelle carceri o al confino, o riparati all’estero, continuarono a operare e a battersi senza tregua ponendo così le basi per la successiva rinascita. I fratelli Rosselli, prima di rifugiarsi in Francia dove furono alcuni anni dopo uccisi su mandato fascista, avevano fondato con Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi ed altri un giornale clandestino a cui avevano dato un titolo emblematico: “Non mollare”. E ricordiamo pure che, durante la lotta armata, le formazioni partigiane, anche dopo le sconfitte più dure (pensiamo, ad esempio, ai rastrellamenti della Valgrande o del Grappa, o alla caduta della Repubblica dell’Ossola) seppero ogni volta riprendersi, riorganizzarsi, tornare a combattere.

Questi tre atteggiamenti sono stati assunti, da molti cittadini, anche negli anni successivi a quelli della Resistenza, e in quelli che stiamo attualmente vivendo. Non sono certo mancate occasioni atte a suscitare indignazione: basti pensare al terrorismo, alla mafia, alla corruzione, al malcostume, al rinascente razzismo. E vi è stato e vi è ampio spazio, per molti cittadini, di far seguire all’indignazione iniziative concrete, individuali o collettive: dalla protesta corale alle manifestazioni di solidarietà, alla sottoscrizione di un documento, a forme concrete di opposizione portate avanti nel rispetto delle leggi, e talvolta (come nel caso del terrorismo e della mafia) anche con il rischio della vita. E pure in loro è stata ed è presente la convinzione della necessità di continuare a battersi anche quando le iniziative poste in atto non giungono a dare a breve termine i risultati sperati.

 

2.

 

Quali riflessi può avere, sul piano del concreto intervento educativo, il fatto di tenere presente questa eredità politica ed etica (i valori, gli atteggiamenti) che la Resistenza ci ha lasciato? Quali caratteri può cioè avere una “Pedagogia della Resistenza”?

a) Un importante riflesso riguarda anzitutto il primo degli obiettivi educativi che un insegnante dovrebbe porsi. Tale obiettivo, davvero fondamentale, dovrebbe cioè essere quello di aiutare i propri allievi a crescere “come persone”.

Che significa “crescere come persona”? Significa, a livello individuale, sviluppare un’immagine positiva di sé, un senso di auto-efficacia (inteso come consapevolezza di avere già certe abilità, e di essere però anche in grado, assumendo un atteggiamento di iniziativa, di acquisirne altre che ancora non si posseggono). Significa acquisire una crescente capacità di operare in modo autonomo e di programmare il proprio futuro vicino e lontano, affrontando con impegno le difficoltà e reagendo in modo positivo agli insuccessi senza arretrare o rinunciare bensì analizzando le cause che li hanno determinati e riprovando con più forza e migliore preparazione. E significa acquisire una varietà di interessi e ampliare sempre più il proprio orizzonte esistenziale e culturale.

A livello di rapporti sociali, “crescere come persona” significa apprendere a comunicare in modo efficace, imparare a collaborare con gli altri o a competere con loro in modo leale sulla base di regole condivise; significa sviluppare dei sentimenti di empatia e pertanto anche la capacità di sentire come propri certi problemi degli altri, e di avvertire un dovere di solidarietà. E significa, nelle interazioni con gli altri, e nel processo di progressivo inserimento nella società degli adulti, lasciarsi guidare dai grandi valori indicati nella Costituzione, da un sentimento di indignazione nei casi in cui essi vengano violati accompagnato da iniziative volte a impedire o ad annullare tale violazione, e da uno spirito critico che protegga sia da adesioni puramente conformistiche a regole o abitudini vigenti in una comunità sia da indebite pressioni esercitate da quest’ultima.

Questo aiuto a crescere come persone può essere dato a livello di gruppo, creando nella propria classe un’atmosfera democratica (fondata sull’alternarsi, nel docente, di un atteggiamento di ascolto dei bisogni di crescita degli allievi e dei loro stati d’animo, e di un atteggiamento di guida consistente nel proporre attività che soddisfino tali bisogni, o ne facciano nascere altri) o, ancor più, giungendo a dare alla classe anche una struttura democratica (con riunioni assembleari di programmazione, attribuzioni di responsabilità a singoli o a piccoli gruppi costituiti in commissioni di lavoro e periodiche valutazioni collegiali dei risultati conseguiti; con frequenti occasioni di compiere insieme certe attività, come una ricerca, una recita, un coro, un’uscita sul territorio), e aprendo anche frequenti “finestre” sugli avvenimenti che accadono nella realtà esterna alla scuola e nel mondo.

Tale aiuto può poi essere dato anche a livello di rapporto personale con ogni singolo allievo, attraverso un atteggiamento di facile accessibilità, un ascolto empatico dei suoi problemi, una disponibilità a dargli l’assistenza di cui ha bisogno, e una frequente valorizzazione delle sue prestazioni e della sua persona.

In questo aiuto a crescere come persone giocano un ruolo importante certi modelli con i quali essi possano commisurarsi per prendere consapevolezza di certi aspetti della loro persona (nell’ambito della progressiva costruzione di un’idea di sé organica ed unitaria), e anche per avvertire il desiderio di migliorare tali aspetti, di acquisire nuove abilità, di sviluppare nuovi interessi e atteggiamenti. L’insegnante stesso può proporsi come modello, e ciò può avvenire se, attraverso l’atteggiamento che assume con gli allievi e il modo con cui svolge il proprio insegnamento è riuscito a conquistarsi la loro stima e il loro affetto. Egli può però anche richiamare la loro attenzione su altri possibili modelli, che possono emergere nel corso dell’insegnamento della storia, o della letteratura, o delle scienze, tutte le volte che viene in primo piano l’uomo (come protagonista di eventi storici che lo hanno visto prendere delle decisioni importanti, come personaggio di rilievo nelle grandi opere della narrativa o del teatro, come scrittore o poeta, come artista, come esploratore, come scienziato impegnato nella ricerca e talvolta in lotta contro resistenze e pregiudizi).

b) Un altro importante riflesso sul piano educativo riguarda il secondo obiettivo fondamentale che un insegnante dovrebbe cercare di perseguire giorno per giorno, quello cioè di aiutare i propri allievi a crescere intellettualmente e culturalmente.

Si tratta di due forme della “crescita” che sono legate fra loro da un rapporto circolare. “Crescere” intellettualmente significa divenire sempre meglio capaci di osservare la realtà con atteggiamento analitico, di scoprire o stabilire dei rapporti, di porsi dei problemi e di cercare delle risposte, di progettare una ricerca o un esperimento, e soprattutto di seguire o compiere di persona ragionamenti sempre più articolati e rigorosi, dando ad essi una formulazione verbale appropriata. È chiaro però che queste abilità intellettive di base non possono venire sviluppate nel vuoto, bensì ogni volta operando su materiali concreti, costituiti dalle situazioni e dalle conoscenze che formano il contenuto dei vari insegnamenti (la lingua e la letteratura, la storia, le scienze, la matematica, ecc.). La circolarità del rapporto sta nel fatto che lavorando su certi contenuti si mettono in attività e si potenziano certe abilità della mente, cosa questa che, per converso pone quest’ultima in grado di affrontare poi contenuti più complessi.

L’insegnante può favorire lo sviluppo intellettuale non soltanto proponendo attività di apprendimento e contenuti culturali che siano alla portata degli allievi (o, ancor meglio, si collochino a un livello lievemente superiore a quello in cui essi si trovano) e privilegiando quelli che hanno maggiori potenzialità formative, ma anche creando le condizioni perché gli allievi, nello svolgimento di tali attività e nell’acquisizione di tali contenuti, assumano ogni volta quell’atteggiamento di iniziativa che prima è stato richiamato e che dovrebbe divenire così, via via, un tratto stabile della loro personalità.

Questi obiettivi possono essere perseguiti mediante una didattica attiva, che favorisca l’acquisizione di consapevolezze e si basi sulla progettazione di situazioni nelle quali siano gli allievi stessi costruire insieme, guidati dall’insegnante, il proprio sapere. Situazioni che prevedano il “fare” e la riflessione su quanto si è fatto, e siano generatrici di problemi ai quali poter dare anche più risposte che prospettino la complessità della realtà; situazioni nelle quali l’errore, quando si verifichi, venga utilizzato davvero come una risorsa. Una didattica così connotata può risultare fortemente stimolante per gli studenti ma anche per gli insegnanti.

L’atteggiamento di iniziativa può qui prendere varie forme, che vanno dall’abitudine di porre a se stessi, e all’insegnante, domande riguardanti i vari aspetti del mondo naturale e umano (“Perché…?”, “Come mai….?”, “In quale modo…?”), al coraggio di formulare delle ipotesi esplicative, all’individuazione dei modi adatti per verificare tali ipotesi e trovare una risposta soddisfacente, all’avvio e all’esecuzione delle attività individuali o di gruppo volte a conseguire tale risposta e a verificarne l’adeguatezza.

Può manifestarsi anche come volontà di sostenere attraverso un ragionamento un’opinione personale, e di ascoltare con attenzione e senza preconcetti altre opinioni diverse dalla propria.

E soprattutto può manifestarsi come sensibilità ai problemi epistemici, ovvero come vivo interesse per i procedimenti attraverso i quali è stata acquisita una certa conoscenza, per i dati di fatto sui quali si fonda una certa affermazione. È una sensibilità che può venire sviluppata e affinata attraverso lo studio della storia compiuto anche con l’analisi delle fonti, o lo studio delle scienze accompagnato dalla conoscenza dei procedimenti seguiti dai ricercatori. Essa può però venire risvegliata e alimentata anche attraverso l’analisi delle informazioni fornite dalla stampa quotidiana o dalla televisione e l’individuazione delle fonti e dei fatti su cui esse si basano. Ed è una sensibilità la quale, oltre che essere una manifestazione del fondamentale atteggiamento di iniziativa, costituisce una difesa essenziale contro ogni tentativo di indottrinamento, e contro ogni adesione acritica alle opinioni prevalenti in un gruppo.

c) Un insegnamento che stimoli l’iniziativa degli allievi invitandoli a porre o a scoprire dei problemi (sulla base di un’attenta e analitica osservazione di certe realtà), o a trovare una risposta a problemi proposti dal docente, attraverso le discussioni di gruppo o le ricerche individuali o collettive, permette poi di raggiungere anche un terzo obiettivo fondamentale che un docente dovrebbe quotidianamente porsi, quello cioè di motivare positivamente gli allievi alle varie attività di apprendimento, ottenendo che si dedichino a tali attività con interesse e impegno. Il problema della motivazione è basilare in un scuola che voglia favorire in misura piena la crescita degli allievi “come persone” così come la loro crescita intellettuale e culturale. Quando è presente una motivazione positiva per una certa attività di apprendimento (l’ascolto di una storia o di una spiegazione, l’organizzazione di una ricerca, l’osservazione di un fenomeno, ecc.), un allievo concentra su tale attività, in modo spontaneo, e per tutto il tempo necessario, gran parte della sua energia psichica, e pertanto quell’attività lascia tracce profonde e durevoli, che garantiscono la crescita. La costante attivazione di motivazioni positive, inoltre, colora in senso favorevole l’intera esperienza scolastica; la scuola può più facilmente venire vissuta dagli allievi come un luogo in cui ogni giorno si possono compiere esperienze interessanti, e vivere con frequenza anche dei momenti di “felicità” (quella felicità che si prova quando si ascolta una bella storia, si trova la risposta a un problema, si vede valutata positivamente una propria prestazione, si acquisiscono conoscenze e abilità vissute come significative, si formano amicizie fondate su una collaborazione gratificante, si avverte con frequenza il senso di “crescere”).

d) In un’attività educativa e di insegnamento intesa nei modi sopra delineati assume una grande importanza il graduale sviluppo di una consapevolezza storica relativa ai vari saperi. La Storia, anzitutto, intesa nel senso di analisi del processo civilizzazione (e naturalmente anche dei principali eventi sociali, politici, o militari che hanno segnato i vari momenti di tale processo o il passaggio da un’epoca a un’altra) ci permette di conoscere come l’uomo abbia dato risposta a certi problemi perenni (procurasi il cibo, difendersi dalle intemperie, raccogliere le informazioni, viaggiare, comunicare a distanza, organizzarsi socialmente, e così via), affrontandoli nella forma in cui essi si sono presentati nei vari “quadri di civiltà” e dando loro soluzioni che sono in rapporto con le condizioni tecniche, culturali, politiche, sociali che hanno caratterizzato ciascuno di tali “quadri”. La Storia permette di vedere come i grandi valori indicati nella nostra Costituzione sono via via emersi nel corso dei secoli, come sono stati più volte disattesi e negati, come sono stati riconquistati.

A questo riguardo sembra evidente che in un tempo come il nostro, che vede una crescente apertura dell’Italia all’Europa e al mondo intero, il fenomeno della trasformazione in senso multietnico della nostra società e della nostra scuola può e deve essere considerato un’occasione preziosa per superare la visione fortemente eurocentrica della Storia comunemente insegnata nel nostro Paese.

La consapevolezza storica può poi essere coltivata ponendo in evidenza la dimensione storica delle varie discipline (la matematica, la biologia, la fisica, la geografia astronomica o fisica, la lingua, il diritto, ecc.), e cioè ponendo in evidenza come le varie conoscenze di cui si compongono sono state conseguite in circostanze e momenti diversi. Attivare anche in questi vari campi del sapere tale consapevolezza contribuisce in modo determinante allo sviluppo di quell’interesse epistemico che, come già si è detto, è una delle forme in cui può manifestarsi l’atteggiamento di iniziativa degli allievi.

 

3.

 

Vi è poi, come si è accennato all’inizio, una seconda ragione che permette di parlare di una “Pedagogia della Resistenza”. È una ragione più contingente, ed è rappresentata dall’esperienza educativa dei Convitti Scuola della Rinascita, un’esperienza che si è svolta essenzialmente fra il 1945 e il 1952 ed ha presentato tutti i caratteri che, come prima si è visto, dovrebbe avere una scuola che si ispira alla Costituzione e alla Resistenza.

Tale esperienza educativa ha avuto le sue radici già nel corso stesso della Resistenza, quando nell’Ossola alcuni partigiani che erano laureati o studenti universitari iniziarono a utilizzare i momenti di tregua per introdurre i loro compagni meno scolarizzati ai grandi temi della storia e della letteratura, vagheggiando l’idea di una futura Scuola strutturata democraticamente, volta alla formazione di “persone” animate da sentimenti di solidarietà e dotate di spirito critico e capacità di iniziativa.

Una istituzione con questi caratteri prese poi corpo subito dopo la Liberazione, con la fondazione, a Milano, nel luglio del 1945, del primo Convitto-Scuola per ex partigiani. Si trattò di una scuola che vide impegnati nello studio e nell’organizzazione della comunità scolastica, con la collaborazione e la guida di un gruppo di insegnanti che avevano preso parte alla lotta antifascista, giovani ex combattenti che si erano distinti per capacità di iniziativa ed alto senso di responsabilità durante i mesi della lotta in montagna ma avevano solo la licenza elementare avendo dovuto andare precocemente al lavoro. La vita di questo Convitto Suola fu fin dall’inizio caratterizzata da una piena partecipazione di tutti alla soluzione dei vari problemi (organizzativi, finanziari, di rapporti con l’esterno, culturali) che via via si presentavano, discussi periodicamente in assemblea e affrontati attraverso commissioni di lavoro nelle quali studenti e insegnanti collaboravano con spirito fraterno.

Questo Convitto-Scuola si aprì dopo pochi mesi anche ai reduci e agli orfani dei caduti; e sul suo esempio in altre città italiane (Torino, Bologna, Reggio Emilia, Cremona, Genova, San Remo, Roma, Novara, Venezia) se ne costituirono altri, che si diedero uno Statuto comune e assunsero tutti la denominazione di Convitti Scuola della Rinascita, anche per sottolineare la volontà di contribuire, attraverso la preparazione culturale, professionale e umana di nuove leve di giovani, alla ricostruzione del Paese, che stava per avere inizio. Uno degli obiettivi era anche quello di contribuire al rinnovamento della scuola italiana, e a questo riguardo (e in armonia con quanto era disposto dal loro Statuto, ove era detto che “uno scopo dei Convitti Rinascita è anche quello di porre tutti i lavoratori e i figli di lavoratori su un piano di effettiva parità per quanto riguarda lo sviluppo culturale”) l’Ufficio Scuole dell’ANPI, sotto il cui patrocinio i Convitti operavano, mise allo studio un piano per aprirne altri (uno almeno in ogni provincia italiana) che fungessero da stimolo e da sede di sperimentazione educativa e didattica.

Purtroppo il profondo cambiamento nel clima politico che si verificò verso la fine degli anni Quaranta, con il venir meno di quella solidarietà tra forze antifasciste che aveva permesso, subito dopo la Liberazione, di dare vita a governi di unità nazionale e di raggiungere traguardi come il referendum istituzionale, l’elezione di un’Assemblea Costituente e l’approvazione della Costituzione repubblicana, e con il diffondersi anche in Italia del clima della “guerra fredda”, quel generoso progetto venne bloccato, e anche l’aiuto che il governo aveva assicurato ai Convitti esistenti venne a mancare, così che uno dopo l’altro essi furono costretti a chiudere.

Sopravvisse agli altri, per qualche anno, quello di Milano, e sopravvisse la Scuola Media Rinascita che in esso era nata, e che divenne Statale, conservando il carattere di scuola sperimentale e continuando a ispirarsi agli ideali della Resistenza.

E per ricordare e valorizzare l’esperienza dei Convitti Rinascita, e fare in modo che le indicazioni positive che da essa erano venute contribuissero a rinnovare la nostra scuola pubblica, ex insegnanti ed ex allievi di tali Convitti fondarono, nel 1975, l’Istituto Pedagogico della Resistenza, che ha sede a Milano ed ha operato ed opera, da molti anni ormai, in continuo contatto con il mondo della scuola.

Oltre che sui motivi generali prima ampiamente illustrati, è dunque anche sul ricordo dell’esperienza dei Convitti Rinascita, sulla concreta attività educativa svolta attualmente dalla Scuola Rinascita, e sull’attività dispiegata dall’Istituto Pedagogico, che si fonda la possibilità di parlare di una “Pedagogia della Resistenza e della Costituzione”.

Qualora condividiate il contenuto del presente documento, vi preghiamo di trasmetterlo anche a persone che considerate sensibili ai temi in esso trattati.

 

Per l’Istituto Pedagogico della Resistenza

Angela Persici      Guido Petter      

 

 

 

Ringrazio tutti coloro che hanno risposto subito alla notizia inviando messaggi, contributi, poesie, saluti...

Sono stata molto fortunata, certo è stata premiata la mia curiosità e il mio non fermarmi alle apparenze quando, entrata nella strapazzatissima sede IpR intorno al 2000, mi chiesi che caspita di strano posto era quello. E trovai un tesoro, un forziere senza lucchetti che tracimava di ogni ben di Dio (senza voler essere blasfema). Recentemente un ricercatore mi ha detto: si entra da voi come un bambino entra in un negozio di giocattoli, si vorrebbe tutto e si perde la cognizione del tempo, starei lì ore e ore... I diversi archivi IpR si sono formati via via con i contributi dei Convitti Rinascita che chiudevano, con le eredità lasciateci da chi aveva frequentato i convitti (non soldi: documenti, bandiere di brigata, libri, cartoline, manifesti, le veline del sip!...). Ma la ricchezza più grande di cui ho goduto -e godo- a piene mani è l'aver conosciuto persone “specialissime” e Guido è uno di loro.

Guido e i suoi amici e compagni d'avventura hanno saputo tradurre subito, già nel giugno del 1945 l'eredità morale della resistenza (pedagogia della resistenza) ed hanno anticipato e poi accompagnato il significato della carta costituzionale (pedagogia della costituzione). E poi non si sono fermati più: una volta affermati i principi, giorno dopo giorno, occorreva far sì che venissero attuati, fatti comprendere, ricordati e manifestati: soprattutto in prima persona.

La coerenza, già già... merce rara.

Comunque, anche se venerdì alle ore 10 all'uni di Padova e poi alle 11 nel Duomo ci sarà una bara, per me, Guido: è.

Vi lascio una foto del suo ultimo compleanno (20 aprile), l'abbiamo passato assieme spupazzandoci oltre 700 studenti dell'Agnesi di Milano, stupendi e affatto imbarazzanti o maleducati come vuole lo stereotipo delle cronache, per parlare del 25 aprile. Una bella ed emozionata fanciulla gli ha regalato, a nome di tutti, un mazzo di fiori, semplici.

Vi abbraccio (angela p)


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