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Domenico Vecchioni. “Raúl Castro” 
Da Greco&Greco un libro importante per conoscere l'uomo e utilissimo per interpretare l'odierna condizione di Cuba
22 Maggio 2011
 

Domenico Vecchioni

Raúl Castro

Greco&Greco editori, pagg. 150, € 12,00

 

Domenico Vecchioni è stato Ambasciatore d’Italia a Cuba ed è forse la persona più indicata per affrontare un lavoro che nessuno aveva mai tentato: delineare vita e personalità dell’eminenza grigia di Fidel, il fratello Raúl, che dal 31 luglio 2006 ha preso in mano le redini dell’isola caraibica. Si parte dagli anni della formazione nelle campagne di Birán, dove crescono, insieme agli altri fratelli, come figli di Ángel Castro Argiz e della domestica Lina Ruz. A Cuba si è sempre vociferata la storia di un altro padre per il fratello minore (il cubano di origine cinese Felipe Miraval), mettendo anche in evidenza le difficoltà a farsi accettare nelle scuole dei gesuiti perché schedati come figli di madre ignota. Il divorzio riparatore da Maria Argota, il nuovo matrimonio con la serva e la regolarizzazione della prole saranno tardivi (1943), quando Raúl Modesto Castro ha 12 anni, si è fatto notare come uno studente svogliato, poco dotato sia nello sport che nello studio. Tutto il contrario di Fidel, verso il quale Raúl matura sin da piccolo un senso di venerazione quasi paterna, eleggendolo a mito e modello da seguire. Raúl ama assistere ai combattimenti di galli in una piccola arena del villaggio, è introverso, irascibile e soffre di un grande complesso di inferiorità nei confronti del fratello. Il collegio dei gesuiti è così duro che la scarsa propensione allo studio di Raúl risalta ancora di più, a vantaggio del più capace Fidel.

Domenico Vecchioni mette in evidenza il fatto che Raúl è sempre stato comunista, pure ai tempi in cui Fidel simpatizzava per il Partito Ortodoxo del carismatico Eduardo Chibás (suicida in diretta radiofonica con un colpo di pistola), anche se non ha mai avuto la loquacità, la forza di persuasione, la memoria, la cultura storica e il magico intuito politico del fratello maggiore. Raúl è comunista sin dal 1951, per merito del fratello che gli fa leggere L’origine della famiglia di Engels, ma sceglie fin dai tempi della lotta politica all’università dell’Avana di essere il braccio destro di Fidel. Il fratello si impegna come feroce oppositore di Batista, soprattutto dopo il rapido e incruento colpo di Stato del 1952, che cancella la moderna e democratica Costituzione del 1940. In ogni caso la Cuba di Batista presenta un’economia florida e un reddito medio di 341 dollari pro capite (al tempo in Italia erano 241), anche se - e questo scatenerà la ribellione dei ceti medi - le differenze sociali sono elevate, la corruzione e la violenza (pure di Stato) ai massimi livelli.

Raúl vive tutta la vita all’ombra del fratello, nutre verso di lui un timore reverenziale condito di illimitata fiducia, viene modellato e manipolato. Studia marxismo a Vienna, Cecoslovacchia, Ungheria, sbarca all’Avana ed è arrestato per propaganda sovversiva, perché ha la valigia piena di libri anticapitalisti. Si iscrive al Partito Socialista Popolare e viene ammesso a far parte del Movimento Rivoluzionario fondato da Fidel. Il patto tra i fratelli è suggellato con il primo fatto d’armi: la fallimentare impresa del Moncada, datata 26 luglio 1953 - che darà il nome al Movimento - nella quale Raúl svolge un ruolo marginale. La conseguenza della sconfitta è la reclusione di entrambi nel carcere dell’Isola dei Pini, una detenzione così blanda da permettere ai rivoluzionari di studiare marxismo in cella e di godere di un’amnistia di pacificazione nazionale per la festa della mamma. L’esilio in Messico serve a preparare lo sbarco del Granma e gli anni della Sierra Maestra, ma anche a reclutare Che Guevara e a stringere rapporti con il sovietico Nikolai Leonov, uomo importante per il futuro della lotta armata.

Raúl diventa uno spietato rivoluzionario e comincia a farsi notare come freddo esecutore di condanne a morte per i traditori. Molti cominciano a chiamarlo Raúl il terribile, perché non si tira indietro di fronte alle missioni sporche e non ci pensa due volte a eliminare un nemico. Vecchioni mette bene in evidenza la doppiezza della natura di Raúl: affettuoso in famiglia ma spietato all’esterno, eterosessuale ma con sospetti di omosessualità, amico fidato ma pronto a sacrificare l’amicizia se Fidel lo chiede, nemico giurato della borghesia e dei suoi agi ma non rinuncia alle comodità della nuova borghesia rivoluzionaria, innamorato della moglie Vilma ma sempre a caccia di avventure. La sola costante nella doppiezza di Raúl è l’obbedienza e l’ammirazione nei confronti del fratello-icona, ma l’autore afferma che i due sono sempre stati complementari l’uno con l’altro, diversi ma non incompatibili, spesso resta il dubbio che le presunte diversità ideologiche siano state solo un gioco politico. La tesi di Vecchioni è suggestiva: Fidel e Raúl vogliono solo il potere, non importa come raggiungerlo, il primo si dichiara non comunista e raccoglie tutto il dissenso dei democratici contro Batista, lasciando il ruolo del marxista ortodosso al secondo che lavora nell’ombra. Una volta raggiunto il potere cominciano le epurazioni dei moderati: Camilo Cienfuegos, il volto romantico e più cubano della rivoluzione, muore in un provvidenziale incidente aereo, Huber Matos viene condannato a vent’anni di galera, altri come Carlos Franqui sono costretti all’esilio. La Rivoluzione divora i suoi figli come Saturno, ma le prime vittime non saranno le sole, perché finirà per sbranare anche uomini di cultura come Heberto Padilla, Reinaldo Arenas e Cabrera Infante. Chi non è d’accordo con le idee di Fidel è un traditore, un disfattista, un controrivoluzionario che merita la condanna a morte, la prigione, la morte sociale e - nel migliore dei casi - l’esilio.

La sovietizzazione di Cuba vede Raúl in primo piano, perché è lui l’uomo di Mosca, da sempre affascinato dalla dottrina marxista-leninista, così come sarà il personaggio chiave nella pericolosa faccenda dei missili concessi da Kruscev.

Raúl si guadagna l’appellativo di terribile, durante la guerra sporca contro i dissidenti rifugiati sull’Escambray, definiti banditi, controrivoluzionari e mercenari statunitensi grazie a un abile lavoro mediatico. Sarà un massacro di almeno tremila civili che avevano la sola colpa di non credere alle idee di Fidel. Raúl è l’ideatore delle Umap, lager tropicali dove vengono rinchiusi omosessuali, santeros, preti, rockettari, antisociali di varia natura, per essere rieducati con il lavoro alla morale socialista. Adesso la figlia Mariela è stata capace di affermare che suo padre e Fidel non sapevano niente di quel che succedeva là dentro perché erano troppo impegnati a costruire l’uomo nuovo socialista.

Raúl è la persona che più di tutti ha cercato di tenere unita la famiglia Castro e che ancora oggi si dà un gran da fare per piazzare nei posti di potere figli e parenti. Il figlio Alejandro viene descritto come il possibile erede politico, ma anche la figlia Mariela è sempre più alla ribalta delle cronache per le sue posizioni moderne e controcorrente a difesa del mondo gay. Tra l’altro è sposata in seconde nozze con l’italiano Paolo Titolo, ex fotografo siciliano innamorato del mito rivoluzionario, ed è stata a un passo dal prendere la cittadinanza italiana.

Raúl è l’ideatore delle FAR (Forze Armate Rivoluzionarie), è uno dei più accesi sostenitori della guerra di Angola e svolge sempre un ruolo da eminenza grigia di Fidel. I Servizi segreti e la Sicurezza di Stato sono alle sue dipendenze, quindi è un grande conoscitore di segreti, un compilatore di dossier riservati su ogni personaggio importante, il vero Grande Fratello di Cuba. Villa Marista è una sua creatura, un centro di detenzione molto duro, dove gli agenti lavorano con metodi spietati per far confessare i prigionieri politici, ma anche le Brigate di risposta rapida e lo spionaggio internazionale sono sempre stati alle sue dipendenze.

Il caso Ochoa, dopo la guerra di Angola, porta ancora una volta Raúl alla ribalta, ma in senso negativo, perché è l’accusatore principale di un uomo divenuto troppo popolare per poter coesistere con Fidel, anche perché è ritenuto vicino alle posizioni di Gorbachov e crede in una perestroika cubana. Fidel e Raúl inventano a suo carico corruzioni, insubordinazioni, complotti, traffico di diamanti e di droga. Ochoa confessa tutto, dopo un processo stalinista, ma non ottiene in cambio la vita, perché viene fucilato senza pietà.

Vecchioni afferma che Raúl è più disteso, meno aggressivo, sa delegare e spesso segue i consigli che richiede ai suoi subordinati. Per questo motivo i raulisti sono in aumento e preferiscono i suoi metodi ai sistemi usati da un impulsivo e decisionista Fidel. Raúl ha sempre fatto di tutto per farsi apprezzare dal fratello, che in realtà lo stima, ma non lo dà troppo a vedere, minimizza il suo operato, anche se sa che è la sola persona di cui si può fidare. Tutte le altre, prima o poi, vengono epurate: Roberto Robaina, Carlos Lage, Perez Roque lo dimostrano. Non sono i soli. Raúl è il principale responsabile di un altro atto di grande intolleranza politica, un vero e proprio omicidio di quattro piloti dell’organizzazione Hermanos al rescate, che il 14 febbraio 1996 vengono abbattuti mentre compiono un volo dimostrativo sui cieli dell’Avana.

Vecchioni scava nel complesso rapporto psicologico tra i due fratelli. Fa notare che con il passare degli anni la presenza di Raúl nella sfera pubblica cresce e diventa più visibile nelle cerimonie ufficiali. Si innamora del modello economico cinese e crede nella modernizzazione agricola, industriale, tecnico-scientifica e militare, che conceda spazi all’iniziativa privata, a cominciare dai contadini che devono poter vendere i prodotti delle loro terre.

Raúl e Fidel non sembrano molto d’accordo su questo punto, perché il secondo teme che cambiando la forma economica di Cuba si sgretolerebbe anche la forma politica.

Raúl prende il potere nel 2006 e comincia a parlare di attuare le sue riforme, annunciando il licenziamento di 500.000 dipendenti pubblici che dovranno riconvertirsi come lavoratori privati. Non solo, teorizza di retribuzioni commisurate al merito e alla quantità di lavoro. Capitalismo selvaggio travestito da comunismo, ma il modello cinese non può essere attuato in pieno, perché il Partito deve mantenere il monopolio e lo Stato deve avere la proprietà dei mezzi di produzione. Raúl, nonostante sia comunista e ateo, stringe accordi con la Chiesa e libera (per esiliarli in Spagna) diversi prigionieri politici, ammettendo per la prima volta - implicitamente - che non sono delinquenti comuni. Il suo approccio al potere è meno burocratico e più autocritico, sembra ascoltare i reclami della gente e pare disponibile a migliorare la situazione, almeno da un punto di vista economico.

Torna la teoria propugnata da Vecchioni. Secondo l’autore Fidel e Raúl non sono mai stati in disaccordo, ma si sono divisi i ruoli, da sempre, e pure adesso recitano il gioco delle parti per disorientare gli osservatori. Di fatto le aperture economiche, senza il minimo cambiamento politico, sarebbero condivise anche da Fidel, che si è ritagliato un ruolo da padre della patria e da vecchio saggio che scrive Riflessioni sul Granma e aspira - udite, udite! - al Nobel per la Pace. I veri problemi di Cuba restano lettera morta, non se ne parla, oppure si accennano per pura demagogia e subito dopo vengono ricacciati nel dimenticatoio. Riassumiamoli: poter viaggiare all’estero, spostarsi liberamente nel paese, comprare case e automobili, abolire l’assurdo sistema della doppia moneta, diritti umani e libertà civili, democratizzazione della vita pubblica, pluripartitismo. Il programma politico-economico di Raúl è gattopardesco: che tutto cambi perché niente cambi, cedendo solo sulle forti iniezioni di capitalismo per salvare il potere. Cuba importa l’80% dei generi alimentari che consuma, ha un debito estero di 20 miliardi di dollari ed è troppo semplice incolpare di tutto l’embargo. Raúl pensa che il modello cinese potrebbe funzionare anche ai tropici e dopo aver militarizzato lo staff economico comincia a dare il via a timide riforme, per il momento insufficienti, come le prime licenze per lavoratori privati, che vanno di pari passo alle alte tasse (fino al 40% dei redditi).

Il futuro di Cuba è critico, forse peggiore del presente - ammonisce Vecchioni - perché è difficile vedere un uomo come Raúl nelle vesti del riformatore. La repressione politica continua a essere forte nei confronti dei dissidenti e la rivolta sociale potrebbe essere vicina, perché la situazione è diventata insostenibile. Una giovane blogger come Yoani Sánchez ha aperto una crepa nell’informazione cubana - asservita al potere - perché la variabile Internet non era compresa tra i possibili nemici. Raúl sta correndo ai ripari anche su questo fronte, ma l’età gioca contro di lui. Non resta che attendere.

 

Gordiano Lupi


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