E. M. Cioran
Taccuino di Talamanca
a cura di Verena Der Heyden–Rynsch
traduzione di Cristina Fantechi
Adelphi edizioni, pagg. 44, € 6,00
«Stanotte, completamente sveglio verso le 3. Impossibile rimanere ancora a letto. Sono andato a passeggiare in riva al mare, sotto l’impulso dei pensieri più cupi. E se andassi a buttarmi giù dalla falesia? Sono venuto fin qui per il sole, e non sopporto il sole. Tutti sono abbronzati, io devo restare bianco, pallido. Mentre facevo ogni sorta di amare riflessioni, guardavo quei pini, quelle rocce,quelle onde visitate dalla luna, e improvvisamente ho sentito fino a che punto sono inchiodato a questo bell’universo maledetto».
Quando Cioran scrive queste parole, si trova a Ibiza per un periodo di ferie. È l’estate del 1966. Per lo scrittore rumeno è un periodo cupo e malinconico. L’abisso lo attrae più del solito in un baratro di riflessioni e pensieri.
Durante quel soggiorno Cioran scrive il Taccuino di Talamanca, adesso pubblicato da Adelphi.
In quelle pagine l’autore di Sommario di decomposizione annota nell’ordine del suo consueto disordine frammentario la sua personale visione del mondo che nonostante il cafard (il modo tutto cioraniano di esprimere la noia e l’angoscia) comprende colte disquisizioni sullo spirito, le idee, le contemplazioni mistiche, le profondità dell’anima.
Tra le varie riflessioni che Cioran annoterà sul suo taccuino nelle notti insonni spagnole, il lettore inaspettatamente né troverà alcune sulla redenzione, che lo scrittore vuole raggiungere attraverso la conoscenza e il superamento della conoscenza. L’indagine speculativa del rapporto tra redenzione e conoscenza è il tema principale, e per certi versi del tutto inedito, del girovagare meditativo di Cioran nella bellezza delle notti di Ibiza.
Egli porta sempre con sé il personale cielo di melanconia e lo ritrova anche nella contemplazione del bellissimo paesaggio dell’isola che ospita le sue inquietudini: «Nei paesaggi che amiamo le nostre infermità assumono un colore diverso. Qui l’insonnia non è un male, ma soltanto una certa impossibilità».
Cioran, indeciso se scrivere al suo ritorno in Francia un saggio sul cafard o sulla redenzione, non è mai stanco di dissertare sul vuoto che aggredisce la coscienza: «Essendo tutto l’anno in vacanza, quando arrivano le vacanze vere e proprie mi rendo conto del vuoto in cui vivo: è il vuoto al quadrato, di cui si è coscienti in ogni momento, il vuoto ufficiale della mia esistenza».
Perso nelle sue meditazioni sul vuoto, Cioran si definisce un maniaco che si dissipa, che sperpera e polverizza le sue ossessioni.
È proprio da “grande curioso dell’incurabile” che si chiede quale senso abbia l’idea di redenzione che si nasconde dietro la conoscenza. Il momento successivo Cioran precipita nel momento cupo che elabora nella sua interiorità il vuoto e le sue esistenziali infermità. «Nel cuore di ogni notte si apre per me il baratro», scrive nel suo quaderno mente si aggira coni i suoi pensieri malinconici per Ibiza che lo accoglie lo respinge allo stesso tempo.
A Talamanca, villaggio sull’isola di Ibiza, Cioran ancora una volta scriverà in stato di crisi perenne. Nella sua prosa niente ricami verbali e mistificazioni del linguaggio.
Il grande scrittore, con un’essenzialità che disorienta, impugna la penna per opporre in maniera radicale ed estrema la profondità del pensiero a ogni tipo di abuso di speculazione.
«Ciò che distingue il pensatore dallo scrittore è che il pensatore prende la penna solo quando ha qualcosa da dire. (Ho appena formulato un voto, piuttosto che una constatazione)».
Anche in queste pagine intense e radicali Cioran dimostra di essere un grande pensatore che ha il coraggio di attraversare le forme più inquiete del vivere. Ma soprattutto ha saputo raccontare con pensieri, idee originali e aforismi politicamente scorretti che l’esistenza non si può comprendere senza un atomo di profondità: una scomoda indelicatezza che vale la pena coltivare per tenere sempre “lo spirito in stato d’allerta”.
Nicola Vacca