Dunque, un ministro di questa repubblica ci assicura che le donne della destra sono più belle di quelle della sinistra. Poi dice che è una battuta scherzosa, e chi non la trova spiritosa peste lo colga, è un moralista d’accatto.
Moralista pare sia il nuovo anatema, la scomunica dei nostri tempi. Chiedi il rispetto delle regole, un po’ di decenza, meno sguaiatezza da parte di chi ricopre incarichi istituzionali e ci rappresenta? Moralista. Trovi indecente un ministro – perché per quanto possa apparire incredibile, Umberto Bossi è un ministro – dichiari che la demenziale mozione governativa sulla Libia è passata perché la Lega ce l’ha duro? Moralista. Obietti che se Berlusconi vede comunisti dappertutto pronto ad azzannarlo, non si riesce a capire come mai i suoi migliori amici sono Putin, cresciuto e allevato dal KGB e quel Lukashenko che è l’unico dittatore rimasto in Europa e continua a tenersi ben cucite nella casacca la falce e il martello? Moralista. Lasciamo perdere il bunga bunga, però è irritante che le ragazze del capo siano a spese del contribuente, elette qua e là, come la signora Nicole Minetti; moralista. Non dimenticare quel baciamano a Gheddafi è moralismo; è moralismo ricordare quello che gli americani scrivono nei loro dispacci diplomatici, e cioè che Berlusconi è un clown, ed è moralismo. Moralismo è quello che ha detto, papale papale Edward Luttwak: «L’Italia nel contesto internazionale non conta nulla per la semplice ragione che il vostro presidente del Consiglio non viene preso sul serio da nessuno». Moralismo. Racconta barzellette e palle a gogò, dalla storia del sacerdote suo insegnante che ebbe la famiglia sterminata dai comunisti (gli stessi che hanno allevato il caro amico Putin; e chi era quel sacerdote?), all’acquisto di una villa a Lampedusa per essere anche lui lampedusano… andiamo avanti? Ci sono ministri come Sacconi e come La Russa, le Santanché e i Gasparri, insomma, tutto e di e di più, una gara allo spasimo a chi è più volgare, sguaiato. Troppo per essere sopportato.
E certo: in questo paese la democrazia è un optional, se per democrazia s’intende la garanzia e la tutela dei diritti di tutti; e se il presupposto fondamentale è costituito dalla conoscenza. Lo diceva un liberale a tutto tondo, Luigi Einaudi: nelle sue non a caso “Prediche inutili” sostiene che il cittadino per non essere suddito, deve poter conoscere; e solo conoscendo può deliberare in scienza e coscienza.
Tutto insomma congiura perché una persona dotato di medio raziocinio provi un sentimento di schifo, di rabbia, di delusione e frustrazione, il cui pratico comportamento si traduce in un: andate a farvi fottere!; cosicché la tentazione quella domenica, è di andarsene al mare, oppure leggere un libro o guardare un vecchio film, invece di andare a mettere una croce su una scheda elettorale. Ma anche se la rabbia è tanta, e la voglia non manca, non bisogna rassegnarsi.
Elezioni amministrative: si tratta di individuare persone di media competenza, di onestà certificata; che abbiano a cuore le sorti e i problemi del paese o della città che vogliono amministrare, e valutare come fino a quel momento quei problemi erano stati “governati”: per dire, la raccolta dell’immondizia; la pulizia delle strade; se e come viene assicurata la possibilità di potersi muovere con i mezzi pubblici… Un sindaco, insomma, lo si dovrebbe misurare sulla base dei risultati ottenuti o mancati, quello che ha fatto, come lo ha fatto, cosa intende fare, con chi e con quali mezzi e risorse.
La situazione è evoluta in modo tale che le qualità amministrative di chi si candida a sindaco, o a un consiglio municipale, passano decisamente in secondo, terzo piano. L’inquilino di palazzo Chigi ha provveduto a fare, anche di queste elezioni amministrative un referendum; e dunque non c’è dunque scelta: votare contro le liste che capeggia e che lo sostengono, o che sostengono i suoi candidati. E magari in quelle liste ci saranno anche delle brave persone, capaci e con i requisiti richiesti per il buon governo del paese o della città in cui si candidano; perfino più brave, capaci e con requisiti migliori di chi a loro si oppone. Tutto ciò non ha più alcuna importanza. Se si trasforma le elezioni in un referendum pro o contro l’inquilino di palazzo Chigi e il suo governo, l’unica scelta concessa è un SÌ o un NO; e allora che NO sia.
Un NO che ogni giorno trova nuove ragioni e motivi. NO a un presidente di regione come Roberto Formigoni che riempie le sue liste di firme false: e prima dice che non è vero e son tutte invenzioni, poi quando si dimostra che è tutto vero, urla al complotto, e ora che finalmente la magistratura ha emesso una raffica di rinvii a giudizio, dice che lui in ogni caso non ne sa nulla e non c’entra… È un NO a un presidente del Consiglio che ha deciso di capeggiare una lista e chiede voti e fiducia per proseguire l’azione politica già iniziata: quale? Quella del bunga-bunga e delle “nipotine” sparse per l’Italia, che fanno ridere il mondo? O quella immortalata da una fotografia che ha fatto il giro del mondo, quella che lo ritrae mentre si esibisce nel baciamano a Gheddafi? È un NO a chi accusa la procura della Repubblica di Milano, che di colpe ne ha tante, ma quella di essere un covo di brigatisti rossi, è una bestialità che non ci sono parole per definirla. È un NO a chi promette di rendere Bologna una città come Roma o Palermo; Bologna ha già dato, e ancora si lecca le ferite. È un NO a chi non ha risolto nessuno dei tanti problemi del paese: si tratti dell’immigrazione o del terremoto in Abruzzo, della disoccupazione giovanile o dell’immondizia a Napoli e Palermo. È un NO a ministri come La Russa e Gelmini, Frattini e Sacconi, e fermiamoci qui, per carità di patria…
C’è poi un NO che ha a che fare con il nostro diritto di poter decidere se e quando la nostra vita è degna di essere vissuta; se e quando non vogliamo più soffrire atrocemente e inutilmente. Che c’entra l’elezione di un sindaco, di un consiglio comunale con il mio diritto a veder rispettato il mio bio-testamento? C’entra perché ci sono paesi e città con giunte e sindaci di un certo tipo che il registro per il bio-testamento l’hanno istituito; e altri che invece non lo vogliono fare, perché la loro morale, la loro “filosofia”, deve essere legge, morale e “filosofia” per tutti. Ed è un NO a quanti sono vogliono imporci una infame legge sul bio-testamento.
Un NO anche alle prepotenze delle gerarchie vaticane e ai loro zuavi in servizio permanente effettivo: le Eugenie Roccella, le Paole Binetti, i Sacconi, i Gaetano Quagliariello, per dirne di alcuni. Perché sono così accaniti nel volere quella legge che mi impedisce di scegliere se e quando curarmi, e se e quando rifiutare le cure? Il perché lo ha ben compreso Roberto Saviano, e non per un caso la puntata di “Vieni via con me” con Mina Welby e Beppino Englaro ha scatenato il finimondo: «La forza di Piergiorgio Welby, così come la forza di Beppino Englaro e di Luca Coscioni, è quella di avere agito nel diritto, di avere sempre rivendicato la possibilità di scegliere». Appunto: il diritto. La possibilità di scegliere. Per loro si può fare, come si fa, come si è sempre fatto, ma senza dirlo, di nascosto; senza diritto. Perché almeno formalmente devono essere loro i padroni del nostro corpo. Per questo negano la possibilità di scelta.
Certo, poi ci sono i problemi della raccolta dell’immondizia; la pulizia delle strade; se e come viene assicurata la possibilità di potersi muovere con i mezzi pubblici… I problemi insomma, che dovrebbe essere oggetto dell’azione e della preoccupazione di un sindaco, di un amministratore comunale. Ci penseremo la prossima volta, quando non ci imporranno un referendum e non saremo chiamati “solo” a indignarsi, ma soprattutto a intignarsi.
Valter Vecellio
(da Notizie Radicali, 9 maggio 2011)