Jonathan Franzen
Libertà
Einaudi Editore, 2011, pagg. 626, € 22,00
Walter e Patty erano arrivati a Ramsey Hill come i giovani pionieri di una nuova borghesia urbana: colti, educati, progressisti, benestanti e adeguatamente simpatici. Fuggivano dalla generazione dei padri e dai loro quartieri residenziali, dalle nevrosi e dalle scelte sbagliate in mezzo a cui erano cresciuti: Ramsey Hill (pur con residue sacche di resistenza rappresentate ai loro occhi, dai vicini poveri, volgari e conservatori), era per i Berglund una frontiera da colonizzare, la possibilità di rinnovare quel mito dell’America come terra di libertà…
…Siamo negli anni Duemila, quelli della presidenza Bush e dell’operazione Enduring Freedom, anni in cui negli Stati Uniti (e non solo…), la libertà è stata come non mai campo di battaglia e posta in gioco di uno scontro il cui fronte attraversa tanto il dibattito pubblico quanto le vite delle famiglie.
Che si combattano guerre imperiali o guerre domestiche, in gioco c’è sempre la libertà e il senso da dare a questa parola… (tratto dalla quarta di copertina del libro)
Ho utilizzato parte della quarta di copertina relativa al romanzo per sintetizzare un testo della bellezza di 622 pagine. A una prima lettura mi erano sembrate troppe. Immaginandomi al posto dell’editore ne avrei levate come minimo un centinaio e il romanzo sarebbe rimasto in piedi ugualmente. Posto però che l’autore non è certo un novellino e che la sua fama è indiscussa, ho dovuto pormi un paio di domande. Per quale ragione nelle relazioni che intercorrono tra i protagonisti e l’ambiente che li circonda vi è un ricorso al dettaglio fin quasi ai limiti della compulsione nevrotica? Possibile che un autore come Jonathan Franzen rimanga catturato nell’affabulazione al punto di rovesciare nel testo tutte le sue personali nevrosi?
Se così fosse si tratterebbe non di un romanzo ma di un diario personale il cui interesse è, a dir poco, discutibile.
Ad una seconda lettura mi è sembrato che il ricorso ad un linguaggio che nulla lascia alla leggerezza, al respiro del testo, non sia affatto casuale. Penso fosse essenziale costruire un non-lessico, non potendo più l’autore disporre di quello corrente per scrivere siffatto romanzo.
Azzardo dunque alcune ipotesi sulle ragioni per cui Franzen si sia sfidato su un terreno così difficile quale quello di sviluppare un linguaggio relazionale non più traducibile in parole consuete. Queste ultime “girando a vuoto” intorno al discorso senza poterne afferrare il senso.
A mio avviso, e Dio solo sa quanto mi possa sbagliare, il nucleo della narrazione si fonda sulla morte senza ritorno, se non in veste di zombie, della famiglia in quanto tribù.
I protagonisti sono i rappresentanti di questo fenomeno di morte definitiva dopo lunghissima agonia. Ognuno vive la fine dei rituali tribali come può, in base alla propria educazione e al proprio temperamento.
Patty è decisamente la meno incline a riconoscere la morte del rituale tribale insito nella famiglia, con tutto il corredo di relazioni che esso comporta, e dal quale la parola “libertà” è la prima a dover essere bandita. Unica atleta di un nucleo alto borghese appartenente alla tribù dei democratici intellettuali, è poco considerata dai membri della sua famiglia. A lei, madre e padre, preferiscono “la sorella di mezzo” che promette bene, in quanto artista. Ragazza nevrotica e molto originale, “la sorella di mezzo” è il modello di figlia nella quale i genitori, e in particolare la madre Joyce, vedono potenzialmente realizzate le proprie aspirazioni. Figlia anomala di una tribù snob e selettiva, Patty sceglie, per ribellione, di crearsi un proprio modello di famiglia nel quale “essere una brava mamma” significa principalmente fare a brandelli il modello espresso dalla propria. Dietro il comportamento di Patty si possono dunque leggere ragioni meno nobili di quelle che lei aspira a rappresentare, quali, ad esempio, un viscerale rancore per la propria tribù di origine unito a un potente desiderio di rivalsa nei confronti di madre e sorella.
Walter, il marito di Patty, proviene da una tribù nella quale il padre esercita una brutale autorità proletaria sui membri della famiglia e in particolare sulla remissiva moglie.
Walter, a sua volta, vagheggia un modello di famiglia distante da quella di origine quanto Marte lo è dalla Terra. Il tronco sul quale egli aspira ad innestare il proprio modello ideale è l’amatissima Patty. La quale Patty però si contraddice non poco quanto a modello di madre e moglie devota, covando nel suo intimo un desiderio erotico potentissimo nei confronti del più caro amico di Walter, Richard Katz, musicista rock assai promettente.
In apparenza, Katz sembra il più idoneo ad affrontare l’uscita dalla tribù, non desiderando crearsi una famiglia, sbattendosi senza troppi complimenti un considerevole numero di “pupe” delle quali poi è uso disfarsi senza grossi patemi d’animo. Ma anche Katz, il duro, il ribelle, l’anarchico, cade nella nostalgia della tribù che non ha creato idealizzando e a tratti utilizzando quella del suo amico Walter al quale è legato da autentico seppur competitivo affetto.
Katz rimane dunque in mezzo al guado. Da un lato egli è votato esclusivamente alla musica, dall’altro però riconosce che la famiglia, è un antidoto contro il rischio d’impazzimento. Lui guarda alla famiglia come ad un innamorato che si è respinto e del quale troppo tardi si riconoscono i pregi. Mi sembra che Franzen ripeta fino all’ossessione che una qualsiasi forma di nostalgia verso la famiglia sia un abbaglio. Il suo tempo è scaduto. Non c’è ritorno, dunque si deve voltare pagina.
E da questo punto in avanti cominciano i dolori. La pagina è bianca. I protagonisti vagano in un vuoto cosmico come meteore che si sfiorano senza mai incontrarsi. E in effetti, l’uscita dalla tribù, esige che non ci si incontri. Così, tutto un lessico che alla tribù e ai suoi rituali faceva riferimento, perde significato, si ostina a non voler entrare in nessuna casella dello schema semplicemente perché non c’è più uno schema.
E che dire ancora del colpo mortale che l’amatissimo figlio Joey infligge a Patty, andando a vivere a casa dei vicini odiatissimi, reazionari e repubblicani e sposandone per giunta la figlia?
Ma, a ben vedere, è proprio Joey quello che ha il fegato per cominciare a scrivere sulla pagina bianca che segue alla morte della famiglia-tribù. Ne rifiuta i modelli e le ideologie semplicemente perché non ha interesse a costruirne di nuovi. E seppure in modo diverso, anche Jessica, l’altra figlia di Patty e di Walter, sembra avere il coraggio di vivere sospesa nel vuoto pneumatico che la circonda accettandone le condizioni e iniziando faticosamente a tracciare nuove coordinate sulla pagina bianca.
In definitiva, Libertà parla di un mondo a venire. Un mondo concretamente libero ove ognuno è responsabile di sé con la volontà di non cedere a schemi precostituiti, quali ad esempio, la fusione di corpi e spiriti nelle relazioni sentimentali. La persona rimane integralmente distinta seppure partecipe della vita dell’altro. In questo modo essa si sottrae al principio di mutuo possesso, essendo quest’ultimo la negazione assoluta della libertà.
Libertà parla del futuro. Un futuro che è già qui per chi lo sa cogliere. Un futuro fondato sul principio di non appartenenza a persone, a tribù, caste, razze e quant’altro. In questo divenire che è già dietro l’angolo, la Terra non è più madre ma figlia da accudire dopo averla fin troppo massacrata.
Libertà parla di un nuovo “status morale”, quello di persone come membri di una “cittadinanza terrestre”, unico vincolo che unisce gli umani tra loro.
Così, forse domani, nel nuovo lessico universale che ci accomuna, non ci saranno più guerre né esterne né intestine poiché la guerra è strettamente imparentata al principio di appartenenza e conseguentemente di esclusione. Il lessico del divenire non dovrà più tenere conto di principi tribali quali “sangue e suolo”, ascendenze e discendenze, primato del sangue sul diritto di abitare il suolo da parte di chiunque lo voglia abitare in pace e nel rispetto dell’ambiente nel quale vive. Una cittadinanza universale di terrestri liberi su libera Terra.
Renata Adamo
Jonathan Franzen, oltre alle Correzioni, con cui ha vinto il National Book Award, ha scritto i romanzi La ventisettesima città e Forte movimento. Ha pubblicato racconti e saggi su The New Yorker e su Harper’s. Einaudi ha pubblicato anche la raccolta di saggi Come stare soli e il memoir Zona di disagio. Libertà è il suo ultimo lavoro, edito in Italia da Einaudi, per la traduzione di Silvia Pareschi.