Un’idea mi tormenta da quando in una delle sedi dell’Università dell’Avana ho alzato la mano per esprimere un dubbio sulle categorie marxiste di necessità e causalità. Sono giunta alla conclusione che le necessità umane sono troppo complesse perché gli specialisti si arroghino il diritto di “sopprimerne” alcune dalle nostre vite.
Abbiamo Elaine, blogger cubana, che dà per scontato il fatto che a suo nonno non serva Internet. Purtroppo non è la sola. L’altro giorno una persona mi assicurava che per un contadino cubano Internet non è prioritaria. Come definire ciò che è prioritario? Senza dubbio nel Medio Evo l’elettricità non era prioritaria e per l’uomo di Cro-Magnon ciò che oggi chiamiamo “prodotti di prima necessità” erano cose sovrabbondanti. Perché dobbiamo porre limiti al benessere umano? Mi chiedo perché nel XXI secolo debba essere considerato un problema inserire l’accesso a Internet tra i diritti civici. Non è importante se il contadino si collega per fare uno studio di mercato sui nuovi fertilizzanti per la terra o per frequentare una chat in cerca di compagnia. Importante è il suo diritto ad avere accesso alla Rete delle Reti e a ciò che rappresenta per la sua vita personale. Qualunque “supposizione” su ciò che il contadino dovrebbe fare su Google, così come nel suo campo, si chiama controllo sul libero arbitrio, sulle scelte personali e sulla libertà individuale.
Ridurre i livelli di povertà nel mondo è una priorità assoluta, ma non vedo il nesso tra questa cosa e il diritto dei cubani ad avere un account di accesso a Internet. Le disuguaglianze sociali presenti nel mondo non giustificano Raúl Castro che mi vieta di aprire la mia pagina Facebook quando voglio. È un discorso logico o sto impazzendo?
Claudia Cadelo
(da Octavo cerco, 26 aprile 2011)
Traduzione di Gordiano Lupi