Si è concluso il Sesto Congresso del Partito Comunista, per fortuna, ché adesso mio padre almeno si smuove dalla televisione e guardiamo altro, meglio la telenovela della sera guarda, persino i programmi culturali che ripetono per l’ennesima volta la storia della Rivoluzione Cubana e l’assalto al treno di Che Guevara a Santa Clara.
– Papà, hai visto che non è cambiato niente? Cosa ti dicevo?
– Sta cambiando il mondo, ragazzo. Come fai a non rendertene conto? I cuentapropistas, le case in vendita, le automobili che si possono comprare, la tessera del razionamento che scompare… ti pare poco?
Mio padre si lascia convincere facilmente. Non è cattivo. È medico, ma per campare porta a giro i turisti in sidecar, nonostante tutto crede ancora che le cose cambieranno, che presto i problemi saranno risolti, che la strada intrapresa è quella giusta. Ha fiducia in questa gente, buon per lui, che a me solo vedere le solite facce in televisione mi mette ansia, ma forse è un problema mio, forse sono io quello fatto male, forse pretendo troppo.
– Ma la doppia moneta, gli stipendi ridicoli, la libertà di parlare, di muoverci, di riunirci in associazioni, magari per scrivere, criticare, comporre canzoni di protesta…
– Non fare discorsi sovversivi. Che libertà e libertà! Noi siamo un paese in guerra, accerchiato dall’Impero. Dobbiamo resistere.
– E questi vecchietti dovrebbero guidare la resistenza?
Un mio amico che naviga su Internet di frodo quando lavora in ufficio ha scaricato una vignetta dove si vedono Raúl e Fidel vestiti da uomini delle caverne, stile Fred e Barney degli Antenati, dietro di loro c’è Machado Ventura con le sembianze di un dinosauro. Fidel è seduto su una panchina e dà il cibo ai piccioni, mentre alza la mano di un arzillo Raúl in segno di vittoria, simboleggiando un passaggio di consegne. Largo ai giovani! Mi ha detto. Ecco questa battuta è la migliore che ho sentito dopo la fine del Sesto Congresso del Partito Comunista, che poi perché lo chiamano comunista non l’ho ancora capito, mica serve distinguerlo da altri, tanto c’è solo quello. Quasi quasi faccio vedere la vignetta a mio padre, chissà come la prende, forse gli smuovo le certezze, pure se il Granma ha detto che va tutto bene, presto saremo fuori dalla crisi, ché noi siamo un paese capace di modificare il sistema senza produrre sconvolgimenti sociali. Per fortuna. Tu pensa se non era vero, sai la fine che facevamo… ma no, non ci comportiamo da disfattisti come certi giovani che aprono i blog e scrivono su Internet, ché loro sono pagati dall’Impero. No, facciamo i rivoluzionari, ché il mondo si divide in vermi e rivoluzionari, rivoluzionari e scorie. Tutto il resto sono chiacchiere, come dice sempre Fidel Castro - ché lui di chiacchiere se ne intende - quando un prigioniero politico si mette a fare lo sciopero della fame.
– Papà, ma la danno la partita di baseball stasera?
– Certo, su Tele Rebelde, dopo il telegiornale.
– Bene. Questa è una buona notizia.
Il Congresso è finito. Si torna alla solita vita di sempre, ché siamo in buone mani, esperte, direi quasi incartapecorite, gente che conosce bene questa Rivoluzione, magari c’hanno l’Alzheimer, ma governano ancora, sono gli eredi di loro stessi, il segno che i tempi non cambiano, ma si consolidano. Pensiamo ad altro che è meglio. Abbiamo le prove con il gruppo, ché la prossima settimana si suona alla Casa della Cultura di Luyanó, devo finire di scrivere un romanzo ambientato in Brasile, ché a Cuba i problemi non ci sono, adesso parlo del Brasile che è meglio, mi fa meno male. Juliana mi vuol vedere, buon segno, ché una mulatta scaccia i pensieri come niente al mondo, meglio d’una bottiglia di rum. Non ti lascia mai la bocca amara.
Alejandro Torreguitart Ruiz
L’Avana, 23 aprile 2011
Traduzione di Gordiano Lupi