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L’intrecciarsi delle tradizioni. A Pasqua uova, colombe, agnelli. E perché il leprotto? 
di Gabriella Rovagnati
21 Aprile 2011
 

Certo, oggi si viaggia molto e i contatti fra persone di diversi paesi sono all’ordine del giorno. Credo però che sia stata soprattutto l’industria dolciaria a introdurre e imporre anche da noi, accanto alle uova di cioccolato e alla tradizionale colomba coperta di granella di zucchero e mandorle, anche il leprotto di Pasqua. Ormai anche da noi, in ogni supermercato se ne vedono d’ogni specie e d’ogni colore, di cioccolato, di zucchero o di marzapane. E la gente li compera senza pensare al ruolo che a questo animale la Mitteleuropa e l’Inghilterra (in tedesco si chiama “Osterhase”, in inglese “easter bunny”) attribuiscono.

Il leprotto (da qualcuno tradotto con “coniglietto”) di Pasqua, nei paesi del nord Europa (e in America) è delegato a nascondere nel giardino di casa le uova colorate, che poi i bambini la mattina di Pasqua vanno a cercare come in una sorta di caccia al tesoro. È, insomma, la versione pasquale di Babbo Natale, e, come quest’ultimo, deriva da una commistioni di credenze pagane e gesti rituali della tradizione cristiana. Sia l’uovo, sia il leprotto (data la proverbiale capacitò di riproduzione della sua specie) sono simboli di fertilità, connessi con la primavera, in cui la terra rinasce a vita nuova. Non stupisce dunque che entrambi siano associati alla festa della Resurrezione di Cristo, che pure cade sempre in primavera.

Ma come mai è proprio un leprotto ad elargire uova? La faccenda non è molto chiara. Questa sua funzione è documentata solo a partire dal diciassettesimo secolo. Prima, nella tradizione settentrionale, erano altri animali ad assumersi il compito di regalare ai bambini le uova colorate; a seconda delle regioni erano una gallina, un gallo, una volpe, un cuculo, una cicogna ecc. Stando a una leggenda diffusa nella regione dei Vosgi erano invece addirittura le campane a portare le uova di Pasqua, in quanto il giovedì Santo esse volavano a Roma per raccoglierle e il sabato Santo, sulla via del ritorno ai loro rispettivi campanili, le lasciavano cadere nei giardini e sui prati, in modo che la domenica di Pasqua i bambini le potessero trovare. Era questo anche un modo per spiegare con una favola il rito cristiano secondo il quale dalla morte di Cristo fino alla notte di Pasqua le campane restano mute in segno di lutto.

Il leprotto di Pasqua come dispensatore di uova colorate (inizialmente si trattava semplicemente di uova sode dal guscio dipinto, tradizione che continua tutt’ora nei paesi del nord) vanta dunque una tradizione relativamente recente. Il primo a farne menzione, pare, fu un pastore e medico di Heidelberg, che nel tardo Seicento in un suo trattato metteva in guardia – in tono satiresco – dall’eccesso di consumo di uova sode nel periodo pasquale, considerandolo alquanto nocivo alla salute. In ogni caso l’usanza di affidare il compito di distribuire le uova di Pasqua a un leprotto è documentata in Alsazia, nel Palatinato e nella regione dell’Alto Reno almeno dal tardo Seicento.

Molti sono stati tentativi di spiegare come mai, ad un certo punto proprio il leprotto abbia avuto il sopravvento su tutti gli altri animali. Alcuni pensano che l’affermarsi di questa predilezione sia dovuta al fatto che in primavera i leprotti si avvicinavano ai giardini e agli orti in cerca di cibo, e poiché erano animali più esotici delle domestiche galline, nonché agili e rapidissimi, invece di sottolineare la loro proverbiale pusillanimità, si cominciò a proporli come dispettosi e giocherelloni: erano loro che sottraevano le uova alle galline, le sparpagliavano nei giardini e poi sparivano furtivi. I bambini, infatti, trovavano e trovano le uova, ma non avevano e non hanno mai modo di vedere il leprotto. Non va inoltre dimenticato che per conservare le uova, proibite in tempo di Quaresima, le si faceva bollire e, colorando loro il guscio, le si rendeva più appetibili anche per i bambini che a partire da Pasqua dovevano contribuire con gli adulti a consumarle velocemente.

C’è anche chi a questo uso pasquale dà un chiarimento di ordine giuridico, in quanto il giovedì Santo era considerato nei secoli passati il termine ultimo per pagare i propri debiti, e i creditori potevano venir soddisfatti con uova e conigli o leprotti. Non mancano neppure spiegazioni più scurrili. C’è chi sostiene che un mastro fornaio, preparando un pane pasquale a forma di agnello, ebbe sfortuna e il prodotto gli riuscì invece a forma di leprotto. Ma questo non spiega come mai poi questo animale sia diventato dispensatore di uova colorate. Né manca un’interpretazione ancor meno edificante, secondo la quale l’usanza sarebbe nata osservando lo sterco dei leprotti che, espletando le loro funzioni intestinali, lasciavano sui prati nidiate di piccole uova. Insomma, i tentativi di darsi ragione di quest’usanza sono molteplici, ma in realtà nessuno è in grado di riuscire davvero convincente.

Qualcuno sostiene che il leprotto di Pasqua sia semplicemente un’invenzione luterana, proprio come il serto d’Avvento, nata addirittura in contrapposizione con il mondo cattolico e il suo rito della benedizione delle uova. Certo è che da almeno oltre un secolo l’usanza è diffusa anche nella regione austro-bavarese, da sempre cittadella della chiesa di Roma.

Di sicuro c’è che fin dal Settecento nelle famiglie protestanti della buona borghesia si soleva nascondere in giardino uova colorate come dono pasquale per i bambini. Ai genitori si sostituirono poi i leprotti, proprio come succede a Natale con Gesù Bambino o con Babbo Natale. Non a caso una nota tiritera tedesca dice:

 

La mamma le uova colora,

il papà le pone nel prato.

I bimbi sciocchi credon allora

che il leprotto di Pasqua sia stato.(1)

 

Qualunque sia la sua origine, la favola del leprotto che porta ai bambini buoni le uova più belle piacque e a consolidare il suo successo contribuì una fiorente letteratura per l’infanzia, che si inventò intere famiglie di leprotti, che però naturalmente si comportano come esseri umani. Che l’animaletto trovasse compiacenza anche presso gli adulti è testimoniato poi da un’intensa produzione di cartoline per gli auguri pasquali, raffiguranti in una profusione di varianti il leprotto con le sue cesta di uova.

Ora, almeno come figura legata alla Pasqua, il leprotto ha evidentemente superato le Alpi e si diffonde sempre più anche da noi; probabilmente però in quest’emigrazione si perde in gran parte l’aspetto ludico che contraddistingue questa figura di animale generoso, portatore di allegria e di gioia di vivere. Nel mondo tedesco e mitteleuropeo, invece, il leprotto continua a primeggiare nella festa di Pasqua, soprattutto presso i più piccoli.

Al quesito su come mai le uova fossero state messe in connessione con il leprotto, diede una risposta ironica già Eduard Mörike (1804-1875), pastore protestante, ma soprattutto scrittore, traduttore e grande poeta svevo dell’Ottocento. Ecco i suoi versi sul tema rivolti a un bambino, che propongo in una mia traduzione, dove purtroppo si perde il ritmo semplice della rima baciata dell’originale:

 

Scritto su un uovo
 

Pasqua in vero è già passata,
E questo dunque non è un uovo di Pasqua;
Ma chi dice non sia di buon auspicio,
Che i leprotti di maggio posino le uova?
Ben cotto nello strutto in padella
Un ovetto è comunque una bontà.
E insomma avrei davvero piacere
A te quest’uovo di poter offrire.
E insieme sento il ghiribizzo,
Di scriverci sopra un indovinello.

I sofisti e i pretastri
Litigavano a gran voce:
Cosa ha creato Dio prima,
L’uovo? Ovvero la gallina?

Ma è tanto difficile indovinare?
Prima fu l’uovo ed esser concepito:
Poi, dato che di volatili non ce n’era,
Tesoro mio, a portarlo fu il leprotto.(2)

 

 

 

(1) «Die Mutter färbt die Eier, / der Vater legt sie ins Gras. / Dann meinen die dummen Kinder, / das wär’ der Osterhas».

(2) Eduard Mörike: Sämtliche Werke in zwei Bänden. Band 1, München 1967, pp. 862s.: Auf ein Ei geschrieben. // Ostern ist zwar schon vorbei, / Also dies kein Osterei; / Doch wer sagt, es sei kein Segen, / Wenn im Mai die Hasen legen? /Aus der Pfanne, aus dem Schmalz / Schmeckt ein Eilein jedenfalls, / Und kurzum, mich tät's gaudieren, /Dir dies Ei zu präsentieren. / Und zugleich tät es mich kitzeln, / Dir ein Rätsel drauf zu kritzeln. // Die Sophisten und die Pfaffen / Stritten sich mit viel Geschrei: / Was hat Gott zuerst erschaffen / Wohl die Henne? Wohl das Ei? // Wäre das so schwer zu lösen? / Erstlich ward das Ei erdacht: / Doch, weil noch kein Huhn gewesen, / Schatz, so hat der Hase es gebracht.


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