Che palle!, dirà qualcuno venuto a conoscenza del fatto che Marco Pannella ha cominciato dalla mezzanotte uno sciopero della fame. «Per il momento», ha avuto cura di specificare; e quel “per il momento” fa intendere che questa forma di lotta e di dialogo nonviolento potrà assumere una forma più dura. Che palle!, sempre la stessa storia, avrà commentato questo qualcuno, con una scrollata di spalle.
È vero: che palle iniziare l’ennesimo sciopero della fame con l’obiettivo – che palle! – di riimporre, come dice Pannella, e ammesso che non sia troppo tardi, un passaggio ad un minimo di legalità e di democrazia.
Sì: che palle Pannella, con la sua mania del diritto e della legalità; e non che palle un presidente di regione come Roberto Formigoni che riempie le sue liste di firme false; non che palle un presidente del Consiglio che fa ridere il mondo con le sue storie di bunga-bunga e nipotine sparse per l’Italia; dove la fotografia più conosciuta all’estero del presidente del Consiglio è quella che lo ritrae mentre si esibisce nel baciamano a Gheddafi; dove si accusa la procura della Repubblica di Milano di essere un covo di brigatisti rossi; dove non uno dei tanti problemi del paese è stato risolto, si tratti dell’immigrazione o del terremoto in Abruzzo, della disoccupazione giovanile o dell’immondizia a Napoli e Palermo; dove una sottosegretaria con un cognome illustre rilascia un’intervista, nella quale sostiene che il capo del suo Governo ha fatto il suo tempo, e che farebbe bene a ritirarsi a vita privata, e lei continua a far parte di quel governo; che ha per ministri Ignazio La Russa e Franco Frattini, e fermiamoci qui, per carità di patria…
Si vorrebbe davvero poter dire che palle Pannella! E invece no, non possiamo e non vogliamo dissociarci dalla sua iniziativa. Perché la riteniamo giusta, necessaria: Pannella ha ragione.
La conferma la si ricava proprio dal silenzio, dall’apparente indifferenza, dal malcelato fastidio che circonda la sua iniziativa e la motivazione che ne è alla base: non a caso ignorata, taciuta, negata. E si capisce: discutere quello che dice e denuncia Pannella, non foss’altro per contestarlo, significherebbe anche doverne riconoscere le ragioni, farle conoscere a chi le ignora, correre il rischio, la certezza, che possano essere condivise. Ancora una volta si deve essere grati a Pannella perché anche a costo di apparire quello che non è, un esibizionista, che si abbandona a periodiche pagliacciate, richiama l’attenzione nostra e di tutti sul gravissimo problema del diritto costantemente violato, stravolto, stuprato.
Anni fa, era il 1974, il Corriere della Sera pubblicò in prima pagina una breve nota di un grande poeta e premio Nobel, Eugenio Montale: «Dove il potere nega, in forme palesi, ma anche con mezzi occulti, la vera libertà, spuntano ogni tanto uomini ispirati come Andrei Sacharov e Marco Pannella, che seguono la posizione spirituale più difficile che una vittima possa assumere di fronte al suo oppressore: il rifiuto passivo. Soli e inermi, essi parlano anche per noi». Quelle stesse parole, senza mutare una virgola, il Corriere della Sera potrebbe pubblicarle oggi, per l’oggi.
Prima di chiudere una “piccola” notizia emblematica, dà la cifra della situazione, conferma che ha ragione Pannella quando parla di nuclei di shoah che ogni giorno si consumano nell’interno delle carceri italiane: un detenuto del penitenziario siciliano di Augusta non ha potuto effettuare la dialisi perché il mezzo che lo avrebbe dovuto portare all’ospedale era sprovvisto di carburante. La denuncia viene dagli agenti della polizia penitenziaria. Quegli stessi agenti che a Rebibbia come a Chieti e altrove sono in sciopero della fame, per condizioni di lavoro decenti, umane; e perché il carcere non sia più quel luogo di tortura che è: per i detenuti, ma non solo per loro: a togliersi la vita, a morire ormai non sono solo i carcerati. In cinque anni ben diciotto agenti di polizia penitenziaria si sono suicidati.
Questa la situazione, questi i fatti.
Valter Vecellio
(da Notizie Radicali, 20 aprile 2011)