L'emendamento del Governo per bloccare il nucleare non deve far intendere che i timonieri del Belpaese abbia tirato i remi in barca rispetto ad un'avventura che si profilava ambigua, contorta e difficile per il bene dell'energia del nostro Paese. Non, non è questa perché la premessa è stata solo un vago balbettio di fronte ai fatti giapponesi, alle decisioni tedesche di blocco del loro piano energetico nucleare e alla marea di voci preoccupate. Un balbettio in cui un giorno sì e l'altro pure, il ministro dello Sviluppo Economico si arrampicava sugli specchi.
È solo paura del referendum. Nonostante lo avessero relegato a metà giugno e non in contemporanea con la tornata elettorale amministrativa, hanno fatto ciò che la legge gli consente: far sparire la legge oggetto di eventuale abrogazione. Cosa faranno poi in materia nucleare non si sa, perché il solito balbettio delle parole che accompagnano l'emendamento soppressivo, fa solo capire che non sanno di cosa parlano.
Al momento una sola cosa è certa: il referendum è confermato morto nonostante i tentativi di farlo resuscitare. Sono anni che in Italia vengono raccolte firme per indire referendum e puntualmente, il Governo di turno (destra o sinistra nella fattispecie non fa differenza), fa di tutto perché la consultazione sia marginalizzata il più possibile e, puntualmente, viene a mancare il numero di votanti perché la consultazione sia valida. Ci hanno provato anche questa volta, ma l'onda lunga dei fatti giapponesi era troppo rischiosa e la possibilità che anche a metà giugno si sarebbe potuto raggiungere il quorum necessario era altamente probabile. Quindi, ecco l'emendamento.
Oggi c'è da fare un funerale, non al nucleare, ché è tutt'altro che spazzato via, ma al referendum. Fintanto che sussisteranno alcune norme, il suo uso sarà impossibile, e cioè:
- validità solo se va a votare il 50% + 1 degli aventi diritto;
- parere della Corte Costituzionale solo dopo la raccolta delle firme;
- possibilità di bloccarlo abrogando anche in parte la legge oggetto di voto.
La via referendaria, tanto importante negli anni '70 e '80, senza queste modifiche è solo perdita di tempo e palliativo di forze civili e politiche che promettono cambiamenti che si sa in partenza che sarà impossibile affermare perché il mezzo prescelto è impraticabile.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc