Mi è capitato stamattina di rubare involontariamente il parcheggio. L’auto era ferma con la freccia per uscire, così ho interpretato, in modo evidentemente errato, e la giovane donna mi ha rimproverata con voce dura, mantenuta anche dopo le mie scuse come se fossi un’incorreggibile ragazzina, anzi di più, una volgare approfittatrice. Le mie scuse e l’evidente imbarazzo non hanno scalfito la coscienza adamantina del suo diritto. Doveva farmi vergognare di me stessa e io mi sono vergognata e scusata. Mi sarei vergognata ancora di più di spiegarle che comunque ero già stata lì due volte il giorno precedente e me n’ero andata via, perché non avevo trovato parcheggio e non sono in grado di camminare per lunghi tratti per un problema alle gambe.
Lei era certamente dalla parte della ragione, ma nella vita quotidiana il volto della giustizia non può essere di marmo, ha bisogno di corpi che si guardino e riconoscano l’altro nella sua differente ragione. Ho accettato il rimprovero, ma un sorriso ci avrebbe riconciliate nella comune condizione del correre di fretta per non arrivare da nessuna parte, nella comune fatica di conservare la sopravvivenza stipando le nostre giornate di donne con tutto il possibile e l’impossibile.
Forse un sorriso era troppo per la sua fatica quotidiana.
In questo paese tolleriamo tutto: un parlamento che grida vendetta al cospetto di dio, (così si esprimeva mia madre per vicende oltre ogni limite, ma i rappresentanti di dio tacciono), la mercificazione di tutto, la crescita visibile delle differenze sociali, governanti che festeggiano mentre la nave affonda sicuri di avere scialuppe a disposizione per salvarsi, le guerre intorno a noi, l’uccisione dei giusti e degli inermi, il femminicidio, la mortificazione del lavoro onesto, l’esaltazione dell’evasione fiscale, la distruzione di scuola e sanità pubbliche, la devastazione del territorio, la speculazione sui beni comuni e molto altro ancora.
Non tolleriamo l’acqua che cade dal balcone di sopra, i bambini che giocano nel cortile condominiale, l’auto lenta al semaforo, una piccola coda al supermercato.
Non tolleriamo il mondo che gira intorno mentre noi contempliamo il nostro ombelico.
E più di tutto non tolleriamo i migranti: signore perbene che escono dalla messa non si peritano di esprimere soddisfazione per quelli affondati prima di toccare le nostre coste.
Quelle che praticano la pelosa carità negli oratori non nascondono l’insofferenza se gli assistiti vogliono diventare come noi: abiti alla moda e figli a scuola.
Insomma se proprio arrivano che stiano al loro posto tutti, compresi quelli che qui sono nati e pensano che questo sia anche il loro paese.
Così si vive qui, nel profondo nord, ricco e infelice, solitudini miserabili dentro i fortilizi delle proprietà e del conto in banca.
Rosangela Pesenti