La stampa nazionale è affaccendata in altre cose e solo marginalmente ha ricordato la scomparsa di un grande narratore italiano come Giuseppe D’Agata, uno dei primi a intuire la relazione tra letteratura e cinema. Per ricordarlo sono andato a riprendere nel mio archivio la recensione che scrissi su uno dei suoi ultimi libri. Giuseppe D’Agata era un uomo d’altri tempi. Ricordo ancora che appena uscito l’articolo che potete leggere mi telefonò a casa per ringraziare. Potete immaginare il mio stupore. Non ci conoscevamo, io ero soltanto un suo ammiratore che aveva seguito Il segno del comando in televisione, aveva visto Il medico della mutua di Luigi Zampa, interpretato da Alberto Sordi, e letto molti suoi racconti. Giuseppe D’Agata aveva cercato il mio numero di telefono per chiamare e farmi sapere che aveva gradito molto il mio commento.
Giusepe D’Agata aveva 83 anni. Ci lascia un grande scrittore, ma restano i suoi libri. Leggeteli, ché ne vale la pena. (Gordiano Lupi)
Giuseppe D’Agata
I ragazzi del coprifuoco
Dario Flaccovio, 2005, pagg. 250, € 14,00
Non è vero che non esistono più i buoni narratori italiani. Ci sono ancora, non sono tutti estinti, solo che non li trovate tra i fenomeni pomparti dalla stampa berlusconizzata e dalla televisione. E allora astenetevi da letture tipo Busi, Camilleri, Baricco, Faletti, Piperno (ultima leva tra i best-seller un tanto al chilo), ché tanto mica vi perdete niente. Se volete trovare scrittori veri cercate tra gli scaffali dell’editoria più piccola che investe su nomi interessanti e non vi fermate alla solita sbobba televisiva. Io sono stato fortunato, ché uno di questi libri importanti di cui si parla poco l’ho ricevuto in omaggio da Dario Flaccovio, scopo recensione. Certo, non è un libro scritto da un giovane esordiente. Non so se vi ricordate Il medico della mutua o Il segno del comando, l’autore era sempre lui, Giuseppe D’Agata. Uno scrittore vero.
Giuseppe D’Agata ha fatto il partigiano, è stato medico (ma ha praticato poco) e soprattutto ha scritto diversi bei libri che parlano di vita quotidiana con la classe di chi sa raccontarla senza prendere in giro il lettore. Il suo ultimo lavoro è I ragazzi del coprifuoco e parla di Resistenza, un argomento sfruttato al massimo ai tempi del Neorealismo, da gente come Fenoglio, Calvino, Cassola, Pavese, tutti scrittori veri, di grande peso. Difficile confrontarsi con i mostri sacri della narrativa e uscirne bene come ha fatto D’Agata, che non è un Piperno qualsiasi, uno che i barzellettieri televisivi paragonano a Roth. D’Agata ha la scrittura leggera e ammaliante di un Fenoglio, cominci a leggere le prime pagine e non lo molli più, devi andare avanti per forza, come stregato da una storia che ti trasporta in un passato fatto di ricordi. Il protagonista incontra in ospedale il comandante della sua brigata partigiana, un uomo ridotto allo spettro di se stesso, malato di un tumore incurabile allo stomaco. La memoria viaggia a ritroso e la voce narrante (molto autobiografica) ripercorre la stagione della liberazione, i miti sfioriti, le violenze fasciste, le disillusioni. Un romanzo che senza retorica e senza nessuna volontà revisionistica parla della guerra partigiana e del suo lato umano, della musica jazz che significa libertà, di un’amicizia e un’ammirazione che vanno oltre la vita. La prosa di Giuseppe D’Agata è poetica e curata ma non per questo incomprensibile o volutamente astrusa, lui che è davvero un grande scrittore si sforza di essere comprensibile e non fa mai inutile sfoggio di erudizione. Non è compito dello scrittore far vedere come sa usare bene parole desuete, lo scrittore deve raccontare una storia e trasmettere emozioni. I ragazzi del coprifuoco dovrebbe essere letto nelle scuole superiori come una storia vera che racconta le emozioni di un gruppo di uomini che ha lottato per la libertà.
Gordiano Lupi