Pare una comica dei fratelli Marx; solo che i Groucho, Chico e gli altri facevano e fanno ridere; questi qui, al contrario, deprimono, e ti chiedi: ma che male ha fatto questo paese per avere simili (s)governanti? Lasciamo perdere il fatto che viene considerato eccezionale, “epocale” il fatto che il presidente del Consiglio, accusato di reati la cui gravità non c’è bisogno di sottolineare, si presenta in aula come toccherebbe a tutti. Quello che in altri paesi è “normale” viene appunto considerato straordinario; ed è indicativo che non si colga il ridicolo, il grottesco, di supporter “cammellati”, adeguatamente forniti di acqua minerale e panino, per intonare, fuori del palazzo di Giustizia, il coretto “Meno male che Silvio c’è”.
Lasciamo perdere il fatto che viviamo una situazione dove gli avvocati del presidente del Consiglio il pomeriggio in Parlamento fanno approvare leggi e norme che la mattina dopo utilizzeranno a beneficio del loro cliente e degli amici del loro cliente in aula di tribunale, e questo viene considerato normale.
Lasciamo perdere le gravi denunce che vengono nell’ordine dal governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, dal procuratore antimafia Nicola Gratteri, dal capo della procura di Reggio Giuseppe Pignatone, dagli rapporti della Direzione Investigativa Antimafia, circa le infiltrazioni e i condizionamenti della criminalità organizzata (mafia e ‘ndrangheta in particolare) in Lombardia, riprese in modo sgangherato quanto si vuole da Nichi Vendola, ma certamente Roberto Formigoni (giova ripeterlo: governatore abusivo) è l’ultimo a doversi scandalizzarsi.
Lasciamo anche perdere che incredibilmente non uno dei tanti inquilini (e quando arriverà lo sfratto sarà sempre tardi) dei vari “palazzi” di Governo sia inorridito nel sentire il vice-presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche Roberto De Mattei sostenere che i terremoti sono null’altro che un castigo divino, «voce terribile ma paterna della bontà di Dio». Uno come questo fa rimpiangere che i manicomi siano stati aboliti.
Annotiamo appena, non foss’altro per non smarrirne la memoria, che un magistrato pacato e in nulla “estremista” come l’ex procuratore di Bolzano Cuno Tarfusser dica al Corriere della Sera cose che dovrebbero far arrossire dalla vergogna il ministro della Giustizia. Tarfusser ha qualche titolo per parlare: in tre anni la procura che guidava ha ridotto del 65 per cento le spese, azzerato l’arretrato, riportato in tempo reale i servizi al cittadino. È stato indicato come «modello di magistrato» da Angiolino Alfano e da Clemente Mastella; buone referenze, parrebbe; così il ministro degli Esteri Franco Frattini lo ha candidato a giudice della Corte Penale Internazionale all’Aja. Si può poi aggiungere che non appartiene ad alcuna delle correnti della magistratura associata. Dice dunque Tarfusser: «La politica non ha alcun interesse al funzionamento della giustizia, anzi teme una giustizia seria che funzioni. Evidentemente al governo interessa solo aggredire chi certamente anche sbagliando e avendo gravi responsabilità proprie, amministra giustizia in condizioni di estrema difficoltà». Si obietterà: sono opinioni, rispettabili, legittime, ma sempre opinioni, e in quanto tali, confutabili, discutibili. Obiezione accolta. Ma il bello viene ora, quando dalle opinioni si passa ai fatti: «Vuole la prova? Il 30 maggio 2008 il ministro Alfano, appena insediato, mi chiese un colloquio e quindi una nota scritta su quali fossero le mie proposte per modernizzare il servizio-giustizia. Gli ho parlato. Gli ho scritto. Poi, però, non l’ho mai sentito».
Cosa ha proposto Tarfusser ad Alfano? Nulla di “epocale”. Semplicemente di puntare sull’organizzazione, la trasparenza, la responsabilità: «Corsi di formazione in organizzazione e management; modifica dei processi di lavoro, obsoleti rispetto a qualsiasi altra realtà pubblica o privata, adottando moderni modelli organizzativi; Carta dei Servizi e Bilancio Sociale per rendere conto in modo trasparente del servizio prestato; sblocco della riqualificazione dei cancellieri per trasformare in risorsa positiva collaboratori oggi frustrati e demotivati. Ed altre proposte grazie alle quali presto ci si renderebbe conto che un ufficio ben organizzato e motivato riesce a smaltire in tempi ragionevoli l’ordinaria amministrazione, che è il 95 per cento degli affari su cui il cittadino ci giudica».
Consoliamoci con la Germania. Forse i Verdi non si riveleranno all’altezza dei compiti che li attendono, dopo aver vinto in un feudo tradizionale della CdU e la secca sconfitta di Angela Merkel. Quell’Angela Merkel ondivaga sul nucleare esattamente come Berlusconi; con una politica estera ambigua esattamente come quella di Berlusconi; attendista e opportunista per quel che riguarda la Libia di Gheddafi, esattamente come Berlusconi; e infatti l’altro giorno Berlusconi ha confidato che invidiava la Merkel, che ha potuto assumere quelle posizioni che a lui invece erano precluse. Non sarebbe male se, alla prima occasione, si diventasse un po’ (solo un poco) tedeschi, e si riservasse a Berlusconi lo stesso trattamento riservato all’invidiata Merkel.
L’abbiamo letto solo sul Corriere della Sera del 26 marzo, un colonnino di Maria Teresa Meli. Si racconta di una riunione, secretata, del Coordinamento del Partito Democratico, dedicata alla questione libica. In quella riunione è intervenuto – e come avrebbe potuto esimersi? – Massimo D’Alema. Intervento definito “interessante”. E se è interessante, perché hanno secretato la riunione? Su richiesta, peraltro, non dell’interessato, ma di Walter Veltroni.
E cos’ha mai detto di interessante D’Alema? L’ex premier, racconta Meli, «che è anche presidente del Copasir, nonché conoscitore delle questioni libiche avendo avuto un rapporto diretto con Gheddafi ha detto cose importanti, mentre tutti lo ascoltavano attentamente. Innanzitutto D’Alema ha criticato senza mezzi termini la linea sposata da Nicolas Sarkozy. Secondo l’esponente del PD, infatti, il presidente francese ha agito con eccessiva spregiudicatezza in tutta questa vicenda, e senza il necessario raccordo con gli altri Paesi, mosso com’è da interessi nazionali e personali. Da una parte c’è il petrolio della Libia, dall’altra ci sono i sondaggi che ultimamente lo davano in calo, addirittura sotto la figlia di Le Pen. Ma nelle more del suo discorso D’Alema ha detto anche un’altra cosa interessante, e cioè ha lasciato intendere che fino a poco tempo fa i servizi segreti del nostro paese erano convinti che Gheddafi riuscisse a spuntarla e che per questa ragione non avevano del tutto abbandonato il dittatore libico. Prudenza ha quindi suggerito, essendo D’Alema presidente del Copasir, di secretare la riunione».
Prudenza… per “prudenza” il PD secreta la riunione sulla Libia, e così abbiamo indiscrezioni che sicuramente Meli ha riferito con onestà professionale, ma proprio la “prudenza” invocata avrebbe suggerito che a quella riunione fosse data la massima pubblicità e conoscenza come, sia detto per inciso, usano fare i radicali. Ma a parte questo inciso, è bene non sfugga come l’analisi della situazione Libia di D’Alema sia, ancora una volta, simile e speculare a quella di Berlusconi…
Valter Vecellio
(da Notizie Radicali, 28 marzo 2011)