Quando la parola passa alle armi, vuol dire che gli uomini rinunciano alla parola, cioè alla espressione più alta della loro umanità, alla loro stessa essenza; rinunciano al fondamento umano delle loro relazioni, della politica stessa che sull’esercizio della parola è nata. Definire la guerra “umanitaria”, dunque, è un’offesa all’umanità stessa, la negazione dell’umanità.
La guerra, si dice, era inevitabile; e a sostenerlo sono gli stessi che non hanno fatto nulla o non abbastanza per evitarla, prima che scoppiasse. La rivolta in Libia è scoppiata in febbraio: nessuno di quelli che contano e che frequentavano la corte del Colonnello è volato a Tripoli da Gheddafi, a consigliare, raccomandare, dissuadere, minacciare: non Ban Ki-moon, non Sarkozy, non Berlusconi, non la Signora Clinton, non gli imprenditori italiani, non Maroni o Frattini. Eppure da Gheddafi c’è stato da anni ormai un continuo vai e vieni per accordi e affari di ogni genere; eppure tutti sapevano chi era Gheddafi e quale dittatore fosse; tutti sapevano cosa succedeva nella sue carceri, con quali mezzi costui arginava l’esodo degli emigranti (il film di Andrea Segre, Dagmawi Ymer e Riccardo Biadene, che documenta le terribili violenze subite dai migranti arrestati e respinti in Libia, è del 2009). Si proclama la guerra umanitaria, e si pratica una politica che dei diritti umani fa strame; è la politica che deve essere umanitaria, non la guerra.
Berlusconi, che si è sempre vantato e millantato di essere influente e ascoltato amico e consigliere dei potenti, che a Gheddafi ha baciato la mano, è stato zitto e latitante; lui, così facondo, non ha saputo dire altro che “non voleva disturbare” Gheddafi, che è “addolorato” per quanto gli si succede. Maroni, che non si è mai preoccupato per le violenze perpetrate nelle carceri libiche purché Gheddafi trattenesse in Libia gli emigranti, ora si allarma e allarma per gli sbarchi a Lampedusa, come se tra la politica portata avanti con Gheddafi e da Gheddafi, la rivolta dei cittadini libici, la guerra e l’arrivo dei profughi non ci fosse relazione alcuna. «Le classi superiori d’Italia sono le più ciniche di tutte le loro pari nelle altre nazioni». Lo scriveva Leopardi nel suo Discorso sullo stato presente del costume degli italiani: nel 1824 ed è oggi. (gigifioravanti)